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È sarda la prima Legge che accorda alle donne disabili priorità d’accesso ad una misura antiviolenza

Lo scorso agosto il Consiglio Regionale della Sardegna ha istituito il “Reddito di libertà”, una misura di sostegno economico per favorire l’autonomia e l’emancipazione delle donne vittime di violenza domestica in condizioni di povertà. In questi giorni la sua disciplina è stata modificata, e, su sollecitazione del centro Informare un’h, è stato approvato un emendamento che estende anche alle donne con disabilità vittime di violenza la priorità accesso alla misura originariamente accordata solo alle madri di figli minori e alle madri di figli con disabilità. Per la prima volta una Legge italiana – sebbene regionale – modula una misura di contrasto alla violenza di genere tenendo conto della discriminazione multipla a cui sono soggette le donne con disabilità. Si tratta di un apprezzabile precedente giuridico.

 

Gian Lorenzo Bernini, “Apollo e Dafne” (particolare), gruppo scultoreo in marmo, 1622-1625. L’opera rappresenta il mito di Dafne che, pur di sfuggire alla violenza di Apollo, si trasforma in un albero d’alloro. L’artista ritrae Dafne nel momento della metamorfosi. Apollo cerca di trattenerla cingendole la vita con una mano, ma lei tenta di divincolarsi protraendo le braccia di lato mentre sulle mani e tra i capelli germogliano tenere foglie di alloro. Sul suo volto un’espressione di dolore e stupore sottolineata dalla bocca aperta.
Gian Lorenzo Bernini, “Apollo e Dafne” (particolare), gruppo scultoreo in marmo, 1622-1625. L’opera rappresenta il mito di Dafne che, pur di sfuggire alla violenza di Apollo, si trasforma in un albero d’alloro. L’artista ritrae Dafne nel momento della metamorfosi. Apollo cerca di trattenerla cingendole la vita con una mano, ma lei tenta di divincolarsi protraendo le braccia di lato mentre sulle mani e tra i capelli germogliano tenere foglie di alloro. Sul suo volto un’espressione di dolore e stupore sottolineata dalla bocca aperta.

Con la Legge Regionale n. 33 del 2 agosto 2018* il Consiglio Regionale della Sardegna ha istituito il “Reddito di libertà” (RDL). L’analogia terminologica con altre misure di carattere economico, quali il Reddito di inclusione ed il Reddito di cittadinanza non deve trarre in inganno. Infatti queste ultime sono misure di contrasto alla povertà, mentre il RDL è una misura di contrasto alla violenza di genere. «La Regione autonoma della Sardegna […] opera attivamente affinché ogni donna vittima di violenza domestica in condizione di povertà materiale superi la condizione di dipendenza economica, soprusi, ricatto e sia posta in condizione di accedere ai beni essenziali e di partecipare dignitosamente alla vita sociale», si legge nell’articolo 1 nella norma citata.

Il RDL consiste in un patto tra la Regione e la donna vittima di violenza, con o senza figli minori, mediante il quale la beneficiaria, in cambio del sostegno garantito dalla misura introdotta, si impegna a partecipare a un progetto personalizzato finalizzato all’acquisizione o riacquisizione della propria autonomia e indipendenza personale, sociale ed economica. Il RDL è introdotto in via sperimentale con uno stanziamento di 300.000 euro, e verrà corrisposto per un periodo che va dai dodici ai trentasei mesi. A copertura del provvedimento è stato istituito un fondo denominato “Fondo regionale per il Reddito di libertà” nel quale confluiscono le risorse europee, statali e regionali iscritte in bilancio con destinazione coerente rispetto alle misure previste dalla Legge in questione, esso attinge, pertanto, a fondi finalizzati al contrasto alla violenza contro le donne.

La condizione di donna vittima di violenza è certificata dai servizi sociali del comune di residenza o dai servizi sociali del comune di nuovo domicilio, in caso di allontanamento anche volontario dal comune di residenza. Gli stessi servizi sociali si raccordano con i centri antiviolenza o con le case di accoglienza.

La domanda di accesso al RDL va presentata al comune di residenza o al comune in cui si è stabilito il domicilio, in caso di allontanamento anche volontario dal comune di residenza; la procedura è senza oneri per le aventi diritto, ed è compito dell’amministrazione pubblica acquisire i certificati relativi alla pratica o, comunque, garantire la copertura degli eventuali costi. I comuni, in raccordo con i centri antiviolenza e gli altri soggetti coinvolti, progettano per ciascuna beneficiaria un piano personalizzato di interventi finalizzati al sostegno e all’emancipazione della donna vittima di violenza e dei suoi figli.

La Legge fornisce alcuni esempi dei tipi di interventi che possono essere previsti, singolarmente o congiuntamente, nei piani personalizzati: l’erogazione di un sussidio economico; l’accesso ai dispositivi delle politiche attive del lavoro in materia di occupazione e di formazione finalizzata; l’avvio all’autoimpiego attraverso l’utilizzazione dei percorsi previsti dalla legislazione in materia, o con incentivi per favorire l’inizio di un’attività in proprio; l’aiuto economico per favorire la mobilità geografica per far fronte alla violenza ed al pericolo; la garanzia della continuità scolastica per i figli minori e maggiorenni che debbano completare il ciclo di istruzione. Sono inoltre individuati dei vincoli: il sussidio economico non è utilizzabile per l’acquisto e il consumo di tabacco, alcol, sostanze stupefacenti e qualsiasi prodotto legato al gioco d’azzardo, pena la decadenza dal beneficio. Le donne affette da dipendenze patologiche beneficiano del RDL solo nel caso in cui abbiano intrapreso un percorso riabilitativo; in tali casi il sussidio è gestito da un familiare o da un responsabile che affianchi la donna nel percorso.

Ulteriori dettagli applicativi saranno indicati attraverso le linee guida che saranno definite ed approvate dalla Giunta regionale, con propria deliberazione, entro sessanta giorni dall’entrata in vigore della Legge in questione.

La versione originaria dell’articolo 5, comma 2 della Legge accordava priorità d’accesso alla misura «alle donne con figli minori o con disabilità certificata ai sensi della legge 5 febbraio 1992, n. 104 (Legge-quadro per l’assistenza, l’integrazione sociale e i diritti delle persone handicappate)». Questa formulazione riserva a queste donne un trattamento di riguardo (o, se si preferisce, una maggiore protezione) che induce a supporre che il Consiglio Regionale della Sardegna abbia ritenuto che le madri di figli minori e le madri di figli con disabilità vittime di violenza si trovino in una situazione più svantaggiata rispetto alle altre donne vittime di violenza. Una valutazione con la quale possiamo concordare, se consideriamo che nei casi di violenza domestica frequentemente i padri si servono dei figli minori per ricattare le madri ed agire un controllo su di esse, e che nel caso vi siano figli con disabilità (anche maggiorenni) le madri che prestano loro assistenza (e dunque svolgono il ruolo di caregiver) sono soggette a maggiori vincoli rispetto alle altre donne. Tuttavia tale valutazione appare insufficiente ed iniqua se osserviamo che essa non ha rilevato che anche le donne con disabilità vittime di violenza si trovano solitamente in situazione maggiore svantaggio rispetto alle altre donne vittime di violenza. Le donne con disabilità, infatti, sono esposte ad una discriminazione multipla dovuta alla circostanza di essere soggette sia alle discriminazioni subite dalle donne, sia a quelle subite dalle persone con disabilità (come riconosciuto dall’articolo 6 della Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità, ratificata dall’Italia con la Legge 18/2009); stando agli ultimi dati Istat disponibili (che si riferiscono all’anno 2014) esse sono più esposte a violenza rispetto alle altre donne: il rischio di subire stupri o tentati stupri è doppio, 10% contro il 4,7% delle donne senza problemi; nei casi di disabilità che comportano non autosufficienza potrebbero ritrovarsi a dipendere dall’assistenza del proprio aggressore nello svolgimento degli atti quotidiani della vita; sono soggette a scontrarsi con l’inadeguatezza e l’inaccessibilità dei servizi antiviolenza, che solo in rarissimi casi sono preparati ad accogliere donne con disabilità diverse; sono più esposte al rischio di povertà perché la presenza di una disabilità influisce negativamente a livello occupazionale – tra chi ha limitazioni funzionali, invalidità o cronicità gravi risulta occupato il 52,5% degli uomini (64,6% sulla popolazione totale) contro il 35,1% delle donne (45,8% dell’intera popolazione), dati relativi all’anno 2013, fonte: Istat) –, ed è frequentemente causa di impoverimento.

Tutte queste considerazioni hanno indotto il centro Informare un’h a pubblicare un testo nel quale, pur valutando positivamente l’introduzione del RDL, denunciava la mancanza di un’attenzione specifica per le donne disabili vittime di violenza. Il testo è stato sottoposto all’attenzione del Consiglio Regionale della Sardegna in modo da concedere loro il diritto di replica. L’8 agosto scorso l’On. Alessandra Zedda, consigliera regionale e prima firmataria della Legge Regionale sul “Reddito di libertà”, ha contattato il centro, ci ha ringraziato per le nostre osservazioni e si è impegnata ad introdurre nella disciplina del “Reddito di libertà” delle modifiche che avrebbero tenuto in considerazione le questioni sollevate. L’impegno è stato onorato con l’approvazione, da parte del Consiglio Regionale della Sardegna, della Legge Regionale 40/2018 (“Disposizioni finanziarie e seconda variazione al bilancio 2018-2020”), nella quale è stato inserito un emendamento (art. 5, comma 68)** al citato articolo 5, comma 2 della Legge Regionale 33/2018, che accorda una priorità d’accesso al RDL anche alle donne vittime di violenza con disabilità certificata ai sensi della Legge 104/1992. Per la prima volta una Legge italiana – sebbene regionale – modula una misura di contrasto alla violenza di genere tenendo conto della discriminazione multipla a cui sono soggette le donne con disabilità. Si tratta di un apprezzabile precedente giuridico.

Alcuni rilievi critici

Il tempo ha un peso relativo. Se pensiamo al cosmo, le cui origini si perdono nella notte dei tempi, anche un milione di anni sembra niente. Se consideriamo la vita delle persone, anni, lustri e decenni appaiono come le unità di misura più consone a definirne la consistenza. Ma se parliamo di violenza, il tempo assume un peso specifico elevatissimo perché ogni minuto, ogni ora e ogni giorno di esposizione ad essa comporta, per la vittima, una progressione nel processo di annientamento. Per questo motivo suscita una particolare ripugnanza il pensiero che, per le donne in condizione di povertà materiale, i tempi di esposizione alla violenza si possano dilatare all’infinito, con la devastazione che ne consegue. Il RDL cerca di mettere un argine a tutto questo, e lo fa senza adottare una politica assistenzialista: la circostanza che l’accesso alla misura sia subordinato alla predisposizione di un progetto personalizzato di autonomia e indipendenza personale, sociale ed economica della donna, e la considerazione che l’intervento abbia carattere temporaneo (il contributo può essere corrisposto per un arco temporale che va da uno a tre anni), inducono a ritenere che esso abbia davvero (almeno in potenza) un carattere emancipante, e che non produca il discutibile effetto di sostituire una dipendenza economica con un’altra. Gli esiti della sperimentazione permetteranno di verificare questa ipotesi.

Una delle difficoltà più frequenti riscontrate dalle donne con disabilità vittime di violenza è l’inaccessibilità dei servizi e delle misure di contrasto alla violenza stessa, ma, sotto questo profilo, il RDL può considerarsi una misura adeguata. Infatti, essendo essa uno strumento di carattere economico, la sua accessibilità non richiede particolari accorgimenti (se non nella sua pubblicizzazione in differenti formati e supporti). L’accessibilità è un criterio di valutazione fondamentale, ma se ci fermassimo ad essa non saremmo in grado di cogliere altri importantissimi aspetti. In particolare non saremmo in grado di rilevare alcune forme di discriminazione indiretta. L’articolo 2, comma 3, della Legge 67/2006 (“Misure per la tutela giudiziaria delle persone con disabilità vittime di discriminazioni“) stabilisce che «si ha discriminazione indiretta quando una disposizione, un criterio, una prassi, un atto, un patto o un comportamento apparentemente neutri mettono una persona con disabilità in una posizione di svantaggio rispetto ad altre persone». Nel caso specifico le donne con disabilità potevano accedere alla misura in questione, ma le procedure di accesso, non tenendo in nessuna considerazione il maggiore svantaggio generato dall’essere soggette a discriminazione multipla, lasciavano di fatto inalterata questa disuguaglianza. Avendo la Legge considerato le donne con disabilità semplicemente come donne, non era stata capace di intercettare le loro specifiche esigenze di persone con disabilità. Se, viceversa, la norma le avesse considerate solo come persone disabili, non avrebbe rilevato che esse, in quanto donne, sono esposte alla violenza di genere. Questa vicenda mostra in modo inequivocabile che l’unica strada per dare risposte adeguate al fenomeno della violenza nei confronti delle donne con disabilità è lavorare in prospettiva intersezionale, che vuol dire prendere simultaneamente in considerazione due o più variabili potenzialmente discriminanti (nel caso in questione, il genere e la disabilità), e la loro intersezione.

Un ultimo elemento degno di nota è la convinzione, abbastanza diffusa, che predisporre servizi adeguati alle donne con disabilità comporti sempre un aggravio economico. È vero che talvolta è così – e, se anche fosse, stiamo parlando della tutela di diritti fondamentali quali l’uguaglianza, la libertà, la salute, l’integrità, la sicurezza e la dignità della persona, dunque sarebbero soldi ben spesi –, ma non è questo il caso: stabilire che anche alle donne con disabilità vittime di violenza (al pari delle madri di figli minori e delle madri di figli con disabilità) sia accordata priorità di accesso al RDL non comporta alcun onere economico aggiuntivo. La questione, dunque, non è tanto quella di far quadrare i conti, quanto, piuttosto, quella di far quadrare i diritti, acquisendo nuove competenze, e disponendosi a lavorare con la flessibilità e la fantasia necessarie e sufficienti a consentire di dare risposte appropriate a situazioni molto differenti tra loro, garantendo a tutte le donne l’uguaglianza sostanziale, ed impedendo che ci siano discriminazioni fondate sulla disabilità.

Simona Lancioni
Responsabile del centro Informare un’h di Peccioli (PI)

 

* Il testo linkato è quello originale poiché la versione ufficiale coordinata con l’emendamento introdotto dall’articolo 5, comma 68, della Legge Regionale 40/2018, “Disposizioni finanziarie e seconda variazione al bilancio 2018-2020”, non è ancora disponibile. Pubblichiamo in una ulteriore nota il testo dell’emendamento approvato.

** Articolo 5, comma 68, della Legge Regionale 40/2018 (“Disposizioni finanziarie e seconda variazione al bilancio 2018-2020”): “Al primo periodo del comma 2 dell’articolo 5 della legge regionale 2 agosto 2018, n. 33 (Istituzione del reddito di libertà per le donne vittime di violenza) le parole da: “dando priorità” fino a “persone handicappate)” sono sostituite dalle seguenti: “dando priorità alle donne vittime di violenza con figli minori o con figli con disabilità certificata ai sensi della legge 5 febbraio 1992, n. 104 (Legge-quadro per l’assistenza, l’integrazione sociale e i diritti delle persone handicappate) e alle donne vittime di violenza con disabilità certificata ai sensi della medesima legge n. 104 del 1992”.

 

Per approfondire:

Regione Sardegna. Legge Regionale n. 33 del 2 agosto 2018, “Istituzione del reddito di libertà per le donne vittime di violenza.Nota bene: Il testo linkato è quello originale poiché la versione ufficiale coordinata con l’emendamento introdotto dall’articolo 5, comma 68, della Legge Regionale 40/2018, “Disposizioni finanziarie e seconda variazione al bilancio 2018-2020”, non è ancora disponibile. Il testo dell’emendamento approvato è il seguente: “Al primo periodo del comma 2 dell’articolo 5 della legge regionale 2 agosto 2018, n. 33 (Istituzione del reddito di libertà per le donne vittime di violenza) le parole da: “dando priorità” fino a “persone handicappate)” sono sostituite dalle seguenti: “dando priorità alle donne vittime di violenza con figli minori o con figli con disabilità certificata ai sensi della legge 5 febbraio 1992, n. 104 (Legge-quadro per l’assistenza, l’integrazione sociale e i diritti delle persone handicappate) e alle donne vittime di violenza con disabilità certificata ai sensi della medesima legge n. 104 del 1992”.

 Simona Lancioni, Reddito di libertà”, nessuna attenzione specifica per le donne disabili vittime di violenza, «Informare un’h», 6 agosto 2018.

Simona Lancioni, Interventi in tema di violenza nei confronti delle donne con disabilità, «Informare un’h», 23 maggio 2018.

Sara Carnovali, Il corpo delle donne con disabilità. Analisi giuridica intersezionale su violenza, sessualità e diritti riproduttivi”, prefazione di Ilaria Mazzei, Roma, Aracne editrice, 2018.

Sezione del centro Informare un’h dedicata al tema “La violenza nei confronti delle donne con disabilità”.

Sezione del centro Informare un’h dedicata al tema “Donne con disabilità”.

 

Data di creazione: 5 novembre 2018
Ultimo aggiornamento: 5 marzo 2019

Ultimo aggiornamento il 5 Marzo 2019 da Simona