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Le donne con disabilità nel Rapporto ufficiale sull’applicazione della Convenzione di Istanbul

Dall’esame del Rapporto ufficiale sull’applicazione delle Convenzione di Istanbul, il primo prodotto dal Governo italiano dall’entrata in vigore della Convenzione, emerge come all’enunciato di principio, che riconosce la discriminazione multipla a cui sono esposte le donne con disabilità vittime di violenza, non faccia seguito un’adeguata declinazione operativa. Manca quell’attenzione competente, scrupolosa ed inclusiva che abbiamo riscontrato nel Rapporto ombra (quello prodotto dalle associazioni di donne). A leggerli in sequenza, i due Rapporti – quello ufficiale e quello ombra –, si ricava la desolante immagine dell’abissale distanza tra le istituzioni e la società civile.

 

Un volto femminile ritratto con la tecnica dell’acquerello.
Un volto femminile ritratto con la tecnica dell’acquerello.

Con l’espressione “Convenzione di Istanbul” si intende la Convenzione del Consiglio d’Europa sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica, emanata nel 2011, e ratificata dall’Italia con la Legge 77/2013. Detta Convenzione prevede che venga costituito un Gruppo di esperti/e sulla lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica (in inglese “Group of Experts on Action against Violence against Women and Domestic Violence”, in sigla “GREVIO“) col compito di vigilare sull’applicazione della Convenzione da parte degli Stati che l’hanno sottoscritta. Questi ultimi sono chiamati a produrre dei rapporti periodici sullo stato di attuazione della Convenzione stessa, e a trasmetterli al GREVIO perché questo possa esaminarli.

Nei giorni scorsi abbiamo pubblicato un approfondimento teso a verificare se ed in che misura il Rapporto delle associazioni di donne sull’attuazione della Convenzione di Istanbul in Italia il cosiddetto “Rapporto ombra avesse tenuto in considerazione le esigenze delle donne e delle ragazze con disabilità vittime di violenza. Tuttavia, per avere un quadro completo delle tutele rivolte alle donne e alle ragazze con disabilità vittime di violenza in Italia, è necessario appurare quale attenzione è stata loro riservata nel Rapporto ufficiale, il primo prodotto dal Governo italiano dall’entrata in vigore della Convenzione (trasmesso al GREVIO lo scorso 22 ottobre, e disponibile solo in lingua inglese). Ciò anche in ragione dei richiami rivolti all’Italia, nel 2016, dal Comitato ONU sui Diritti delle Persone con Disabilità (l’organo incaricato di verificare l’applicazione della Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità, ratificata dall’Italia con la Legge 18/2009), preoccupato per l’assenza di politiche rivolte alle ragazze ed alle donne con disabilità (punti 13 e 14), ed in specifico per le inadempienze rispetto al fenomeno della violenza nei loro confronti (punti 43 e 44).

Un primo riferimento alle donne con disabilità si trova nella parte in tema di “Raccolta dati e ricerca”, dove è citata un’indagine Istat del 2014 che definisce «critica» la situazione delle donne con problemi di salute o disabilità: ha subìto violenze fisiche o sessuali il 36% di chi è in cattive condizioni di salute e il 36,6% di chi ha limitazioni gravi. Il rischio di subire stupri o tentati stupri è doppio, 10% contro il 4,7% delle donne senza problemi (pag. 27). Tuttavia, a parte la Liguria (di cui riferiamo tra poco), non risulta che i dati raccolti dai diversi soggetti (ISTAT, autorità giudiziarie, centri antiviolenza, servizi sociali e sanitari, ecc.) siano disaggregati anche in funzione della disabilità della vittima.

Tre riferimenti si trovano nelle relazioni prodotte dalle diverse regioni italiane sui servizi antiviolenza erogati nell’ambito di propria competenza. In specifico, nella relazione prodotta dal Friuli Venezia Giulia si osserva che le conseguenze della violenza sono numerose, e vanno dalla semplice paura alla disabilità, anche se quest’ultima emerge in casi molto sporadici: tre casi nel 2016 (pag. 61); mentre la Liguria è l’unica che raccoglie i dati disaggregati anche per la variabile della disabilità, ecco il passaggio in questione: «La raccolta dei dati viene effettuata dai centri anti-violenza sulla base di un sistema informativo messo a disposizione dalla Regione, in collaborazione con la società Liguria-Digitale. I dati possono essere suddivisi per genere, età, tipo di violenza, tipo di rapporto tra l’autore e la vittima, posizione geografica (del centro, cui la vittima ha fatto riferimento) ed altre informazioni (titoli di studio, nazionalità, situazione lavorativa, economica situazione, disabilità, ecc.)» (pag. 64); più ambiguo è il riferimento contenuto nella relazione della Sicilia, dove si legge: «L’attuazione delle azioni soggette a contributo è costantemente monitorata dal servizio competente, attraverso controlli in loco, relazioni, contatti diretti con ONG/cooperative/autorità locali che gestiscono centri anti-violenza e rifugi segreti o strutture per situazioni di emergenza che sono accreditati in conformità con gli standard regionali (DP n. 96/2015), destinati esclusivamente alle donne vittime di violenza e ai loro familiari, bambini o persone con disabilità» (pag. 74), un passaggio dal quale non si capisce se i bambini e le persone con disabilità citati siano anch’essi vittime di violenza, o se si trovino in situazioni di emergenza a causa di altri fattori.

Un ulteriore riferimento si trova nella ricostruzione del “quadro giuridico pertinente”, quando è citato l’articolo 612-bis del Codice Penale italiano, che prevede un’aggravante penale specifica nel caso che la vittima di atti persecutori sia una persona con disabilità (non necessariamente una donna): «La pena viene aumentata se il reato è commesso dal coniuge, anche legalmente separato o divorziato, o da una persona precedentemente impegnata in una relazione affettiva con la vittima. La pena aumenta anche se il reato è commesso contro una donna minorenne, una donna incinta o una persona con disabilità» (pag. 99).

Il Rapporto ufficiale include al proprio interno due Piani: il “Piano strategico nazionale sulla violenza maschile contro le donne 2017-2020”, ed il “Piano d’azione straordinario contro la violenza sessuale e di genere” (2015-2017). Abbiamo esaminato anche questi.

In merito al Piano strategico nazionale le donne con disabilità sono citate nel preambolo, dove è specificato che «Il Piano nazionale sulla violenza maschile sulle donne […] considera le donne vittime di ogni forma di violenza indipendentemente dalla loro condizione sociale od economica, coinvolgendo anche quante vivono situazioni multiple di disagio e violenza –come le donne rom, migranti, rifugiate e richiedenti asilo e disabili» (pag. 119, grassetti nostri). Più avanti, nel delineare il quadro di riferimento, è rilevato che «persistono fenomenologie che devono indurre a riflessioni e interventi specifici, come ad esempio l’esposizione alla violenza di gruppi vulnerabili (giovani donne, donne disabili) e i rischi di esposizione alla violenza connessi a separazioni e divorzi, se si considerano le responsabilità a carico degli ex partner in tutte le forme di violenza (a parte le molestie)» (pag. 122, grassetti nostri).

Nella parte denominata “Asse prevenzione”, il MIUR (Ministero dell’istruzione, dell’università e della ricerca) è impegnato a rafforzare l’impegno nella «pianificazione di una serie di interventi, basati sulla personalizzazione e la flessibilità, volti ad eliminare la disparità di genere nell’istruzione e garantire un accesso equo a tutti i livelli di istruzione e formazione professionale con particolare cura alle categorie più vulnerabili quali le persone disabili e le/i minori in situazione di vulnerabilità» (pag. 131, grassetti nostri). Poco più avanti, sempre sull’“Asse prevenzione”, riguardo alla formazione rivolta alle operatrici ed agli operatori del settore pubblico e del privato sociale, è specificato che la formazione garantita dalle Amministrazioni pubbliche al proprio personale deve, tra le altre cose, essere volta a «garantire la corretta presa in carico e gestione dei casi, tenendo in debita considerazione le condizioni di vulnerabilità multiple come quelle che caratterizzano le disabili, come anche le donne migranti» (pag. 132, grassetti nostri). Sull’“Asse protezione e sostegno” è affermata la necessità che gli interventi di protezione e sostegno si realizzino all’interno di sistemi integrati e di cooperazione nel contesto dei sistemi di governance territoriale e delle conseguenti reti, e che in questo ambito, rientrano anche «le misure relative al rafforzamento dei servizi di supporto specializzati e generali per le vittime di violenza e le/i loro bambine/i, nel cui ambito viene riservata una particolare attenzione a quei gruppi di donne caratterizzati da vulnerabilità multiple, tra cui le donne disabili» (pag. 137). Sull’“Asse perseguire e punire”, è richiamata  la Delibera del Consiglio Superiore della Magistratura del 25 gennaio 2017 nella quale si «ribadisce l’assunto secondo cui i Tribunali organizzati in più sezioni civili e/o in più sezioni penali debbano prevedere modelli di specializzazione che accorpino materie in base ad aree omogenee (ad esempio delitti commessi in danno di soggetti deboli, delitti di femminicidio, ecc.)» (pag. 145-146, grassetti nostri).

Infine, nel Piano d’azione straordinario vi è un unico richiamo in relazione alla creazione di una banca dati nella quale devono essere raccolti che gli estratti di un elenco di fattispecie di reati in cui si esprime la violenza maschile contro le donne, elenco che comprende anche lo stato di incapacità procurato mediante violenza (articolo 613 del codice penale) e l’abbandono di persona minore o incapace (articolo 591 del codice penale), riferimento riportato a pag. 177.

Questo dunque il quadro complessivo nel quale, all’enunciato di principio, che riconosce la discriminazione multipla a cui sono esposte le donne con disabilità vittime di violenza, non fa seguito un’adeguata declinazione operativa. Non si parla di raccogliere dati disaggregati per la disabilità, indispensabili per predisporre servizi adatti e accessibili a queste donne; non si parla degli stereotipi e dei pregiudizi ai quali sono soggette le donne con disabilità, che, al pari di quelli di genere, andrebbero destrutturati; non si parla delle peculiari forme di violenza subite dalle donne con disabilità, che, proprio perché peculiari, spesso non sono riconosciute come tali nemmeno da chi opera nel settore della violenza di genere; non si parla di promuovere campagne di sensibilizzazione sulla violenza che contemplino anche le donne con disabilità, e che siano realizzate in formati e supporti accessibili per loro; non è previsto che sia realizzato materiale informativo sul tema della violenza accessibile a donne con disabilità diverse; si insiste sul numero verde 1522, pubblicizzato anche dal sito del Dipartimento per le Pari Opportunità, che fornisce un’accoglienza disponibile in italiano, inglese, francese, spagnolo e arabo, ma non necessariamente preparata a relazionarsi, ad esempio, con donne con disabilità intellettiva; non si parla di sterilizzazione forzata ai danni delle donne con disabilità intellettiva/psichiatrica, sebbene non siamo in grado di escludere che essa, sia pure in forme mascherate da altri interventi, sia ancora praticata in Italia; non si parla di accessibilità di tutti gli snodi del percorso antiviolenza, ed in particolare dei centri antiviolenza* e delle case rifugio, e potremmo continuare.

Manca quell’attenzione competente, scrupolosa ed inclusiva che abbiamo riscontrato nel Rapporto ombra. A leggerli in sequenza i due Rapporti – quello ufficiale e quello ombra –, si ricava la desolante immagine dell’abissale distanza tra le istituzioni e la società civile.

Nella primavera 2019 alcune componenti del GREVIO effettueranno delle visite mirate in Italia per approfondire quanto dischiarato nei due Rapporti. L’esito delle valutazioni effettuate è atteso per la prossima estate. Oltre ad esaminare i Rapporti prodotti dai vari Paesi, il GREVIO può anche avviare speciali procedure di inchiesta. Come già il Comitato ONU, anche il GREVIO può produrre delle Raccomandazioni su specifici aspetti della Convenzione, ed inviarle agli Stati perché le recepiscano. Nel Rapporto ombra le esigenze delle donne con disabilità in tema di violenza sono ben delineate, auspichiamo che il GREVIO le tanga nella dovuta considerazione.

Simona Lancioni
Responsabile del centro Informare un’h di Peccioli (PI)

 

* Lo scorso 23 novembre l’Istat ha pubblicato i risultati della prima indagine sui servizi offerti dai Centri antiviolenza alle donne vittime. Sono fornite le percentuali delle utenti con figli (64 %), di quelle straniere (27 %), mancano, tanto per cambiare, quelle con disabilità. Né risulta siano stati rilevati dati sull’accessibilità dei Centri stessi. Ringraziamo Sara Carnovali per la segnalazione.

 

Per approfondire:

Italia. Presidenza del Consiglio dei Ministri: Dipartimento per le Pari Opportunità, Report submitted by Italy pursuant to Article 68, paragraph 1 of the Council of Europe Convention on preventing and combating violence against women and domestic violence (Baseline Report), received by GREVIO on 22 October 2018 – GREVIO/Inf(2018)14, published on 22 October 2018 (il testo è disponibile solo in lingua inglese).

Simona Lancioni, Le donne con disabilità nel Rapporto ombra sull’applicazione della Convenzione di Istanbul, «Informare un’h», 17 novembre 2018.

L’attuazione della Convenzione di Istanbul in Italia. Rapporto delle associazioni di donne, a cura di Elena Biaggioni e Marcella Pirrone, s.l., ottobre 2018.

Sezione del centro Informare un’h dedicata al tema “La violenza nei confronti delle donne con disabilità”.

Sezione del centro Informare un’h dedicata al tema “Donne con disabilità”.

 

Data di creazione: 4 dicembre 2018
Ultimo aggiornamento: 5 dicembre 2018

 

Ultimo aggiornamento il 6 Dicembre 2018 da Simona