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“Ma ti vedo bene!”

di Raffaela Bicego

Diamo spazio a questo testo di Raffaela Bicego che ci offre una testimonianza relativa alla convivenza con la sua disabilità invisibile. Raffaela è una persona curiosa, vivace, e si occupa di fotografia di ritratto con grande passione. Ben volentieri le diamo ospitalità. (Simona Lancioni)

Le persone temono così tanto la diversità che tentano
di far rientrare tutto in una scatolina ben precisa.” (Rosie King)

Prima di leggere una diagnosi medica contenente la parola “iperacusia”, dovette passare un po’ di tempo dal mio trauma acustico. Il primo, grande fraintendimento con cui si scontra chi vive una condizione di disabilità invisibile è che da fuori sembra tutto “normale”. Difficile pensare ci sia qualcosa di patologico, di invalidante. E tantomeno cronico.

Come va, con le tue orecchie? […] Ma dai, ancora?!”

Nonostante quella certezza, confermata nero su bianco e sulla base di esami accurati, venivo istruita da psicoterapeuti e psicologi a non usare il termine medico per parlarne agli altri. Di dire ad esempio, “ho una marcata sensibilità ai rumori”, o cose del genere. Questo doveva forse aumentare le chances di un miglioramento, dare un’opportunità al mio cervello e al mio sistema uditivo di “ripristinarsi”. Fake it until you make it? [Fingi finché ce la fai?, N.d.R.] Forse. Credo avesse un fondamento psicologico costruttivo. In realtà, io così imparavo che la stavo facendo più grossa di quel che era. Che dovevo reagire in modo più forte, che potevo condurre una vita normale.

E ce la misi tutta, per condurre una vita normale.

Il risultato fu quello di stare peggio.

© Bill Brandt, Ear in landscape, 1957. Scatto in bianco e nero che ritrae un paesaggio con una distesa di sassi, una parete rocciosa, un cielo inqueto in lontananza, ed un orecchio in primo piano.

Capii, con il tempo, che era forse il momento di fidarmi di più di quello che sentivo, e meno dei commenti e dei consigli che ricevevo:

“E come fai a vivere?” […] “Io non ce la farei.” […] “Secondo me ti passa tutto entro fine anno.” […] “Sei tu che devi adattarti al mondo, mica il contrario! Il problema ce l’hai tu, mica gli altri. Sapessi io, col mio ginocchio, quanto devo patire…” […] “Ti capisco benissimo, io sono claustrofobica e se devo salire in ascensore o stare in spazi ristretti è un dramma.” […] “Ma non puoi metterti delle cuffie, scusa?” […] “Non sappiamo dove collocarla, non ci siamo mai trovati in questa situazione.” […] “Hai provato a parlare con chi sta lassù?” […] “Il Suo è un problema senza soluzione.”  […] “Devi proprio DIRLO?”

Dovevo contare sulle mie forze, sul mio intuito, e fare rete con altre persone dall’udito “speciale”.

Per chi soffre di iperacusia – chiamiamola per quello che è – il cervello non processa più i suoni correttamente, e questi si avvertono di un’intensità abnormale. Spesso l’iperacusia è accompagnata da un acufene reattivo, cosicché l’esposizione sonora “incauta” si paga con l’aumentata percezione di questi “compagni di viaggio” che sentiamo solo all’interno della nostra testa, in forma di sibili, fischi acuti, ronzii o altri tipi di rumori.

Non è un semplice fastidio, come si può essere portati a pensare quando si ha un udito nella norma e non si è provato nulla di simile. L’iperacusia si manifesta dolorosamente. Con il passare del tempo, porta a un inevitabile accumulo di stress, fisico ed emotivo, di cui bisogna prendersi costantemente cura. Non ci si sente “protetti” da nessuna parte.

© Edouard Boubat, Remi écoutant la mer, 1955. Primo piano in bianco e nero di un bambino che ascolta assorto, e con gli occhi chiusi, il rumore del mare dentro una conchiglia.

In cuor mio, so che l’iperacusia mi ha migliorata. Sono più forte, più consapevole di tante cose, e ho imparato ad ascoltarmi molto di più e a volermi più bene. Mi ha insegnato a vedere meglio le persone – letteralmente, da quando ho abbracciato l’arte della fotografia di ritratto! E a vedere meglio me stessa. Ad attraversare il dolore e accettarlo. A far luce anche sulle ombre che mi facevano paura.

Ora ne parlo più coscienziosamente, e consapevolmente, come di un sintomo invalidante, di un handicap. Una parola che non avrei mai pensato di dover impegnarmi a menzionare così spesso e con tanto fervore, ma quando ti accorgi che non riesci a stare nella maggior parte dei contesti “normali” senza disagio o sofferenza, e non hai accesso a quelli “speciali” perché il tuo disturbo non è riconosciuto dalle autorità sanitarie come disabilità, quale altra strada dovresti percorrere? Tra le tante definizioni di disabilità, ho trovato che è “una limitazione o una perdita – derivante da un’alterazione – delle capacità di eseguire un’attività nella maniera o nel range considerato normale per un essere umano.” Un’alterazione, quindi.

Questa patologia non è studiata a sufficienza. Siamo ancora troppo pochi a soffrirne. Non è un business che genera profitti e non può essere motivo d’orgoglio della medicina perché le terapie finora esistenti sono sperimentali – e il più delle volte fallimentari. Quando si parla di problemi all’udito, si pensa a un deficit. Alla sordità. Ma le stesse cause che portano a deficit uditivi possono portare anche a disfunzioni diverse.

Maggior attenzione necessita il tema della prevenzione. Un altro equivoco, infatti, è quello che i disturbi all’udito riguardino perlopiù le persone anziane. L’inquinamento acustico è in crescita, e sempre più frequenti sono i casi di patologie uditive anche fra i giovani. Diffusissimi sono i problemi uditivi in ambito musicale. Si crede che l’acufene sia quasi una “medaglia al valore” per un rocker. Non c’è niente di cui vantarsi a non sentirci più bene, o a doversi privare del piacere della musica perché reca sofferenza fisica. In tanti anni in cui ho partecipato ad eventi musicali, non ho mai visto un distributore di tappi per le orecchie all’ingresso. Non ho mai visto nessuno che li indossasse! Meno che meno delle cuffie antirumore. Nessuno mai mi aveva allertata sui pericoli che stavo correndo.

Hugh Grant si lamentò tempo fa su Twitter del volume troppo alto alla visione del film “Joker” al cinema, con il suo immancabile sense of humor: “am I old or is the cinema MUCH TOO LOUD?” [sono vecchio o il cinema è TROPPO RUMOROSO?, N.d.R.] È questo che si pensa, che non sia cool [figo, N.d.R.] lamentarsi dei volumi. Che sia “da vecchi”. E che sia invece molto trendy e sovversivo esagerarli inutilmente. Nei locali, nei negozi, il marketing ci vuole storditi dalla musica di sottofondo. Motori truccati, urla irose, finestrini dell’auto abbassati e musica pompata a mille.

È davvero più forte chi fa più rumore?

Continuo a sperare in novità dalla ricerca scientifica che contribuiscano a migliorare le condizioni di vita di chi ne soffre, e spero che questa lettura possa incontrare chi può agire concretamente per l’attuazione di percorsi inclusivi. Fatta eccezione per i fortunati con un impiego compatibile con le loro esigenze fisiche, per molti iperacusici è difficile reinserirsi nel mondo del lavoro.

Il cervello è plastico. Ci sono persone che sono riuscite ad alzare la loro soglia di tolleranza ai suoni e a migliorare sensibilmente la loro iperacusia, nel corso degli anni. Molto dipende dallo stile di vita che si ha la possibilità di condurre, dall’appoggio di familiari, amici e partner, dalle possibilità economiche. E anche dalla forza di spirito. Bisogna mantenersi fiduciosi e aperti verso questa possibilità, ma non si può aspettare di stare meglio per vivere la propria vita. Bisogna viverla adesso, per come si è – qui e ora.

Finché rimane una condizione sconosciuta, che non rientra in nessuna “categoria”, la sfida non può che essere nello stile “sola contro tutti”.

Ringrazio di cuore Simona per la generosa apertura e l’immediata disponibilità ad accogliere la mia voce in questo spazio. Spero sia utile per qualcuno che vive difficoltà simili e che contribuisca a diffondere maggiore sensibilità sul tema.

Autoritratto, © Raffaela Bicego. Primo piano in bianco e nero. Raffaela guarda in camera, sorride, il busto reclinato leggermente verso destra, solleva il braccio portando una mano semichiusa al viso, il gesto la porta a coprire l’occhio sinistro.

Raffaela è presente online con il suo sito www.raffaelabicego.com. Soffre di iperacusia severa dal 2014.
Continua a studiare e a praticare con passione fotografia e adora scrivere, attività che sta impiegando anche per farsi portavoce di questa condizione rara e invisibile.

© Raffaela Bicego – Tutti i diritti riservati

Link in tema di iperacusia a fonti esterne, sul web:

Hyperacusis Research

Hyperacusis Central

IDA – Invisible Disabilities® Association

Gruppo Facebook: Hyperacusis & Tinnitus Support

La hiperacusia y yo

 

Vedi anche:

Sezione del centro Informare un’h dedicata alle “Storie di donne con disabilità”.

Sezione del centro Informare un’h dedicata al tema “Donne con disabilità”.

 

Ultimo aggiornamento il 25 Aprile 2023 da Simona