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Mettere le donne in condizione di mettere al mondo il mondo

di Marina Lucchesi

Assommare in sé la condizione di essere donne e persone con disabilità talvolta può essere scomodo, ma costituisce anche «un eccellente punto d’osservazione», lo pensa Marina Lucchesi, che, appunto, vive questa doppia appartenenza, intervenendo nel dibattito pubblico, quello sull’aborto terapeutico, che ha preso le mosse da un commento dell’ANFFAS ad una vicenda accaduta in Inghilterra. Mentre attendiamo con fiducia che l’Associazione, più volte sollecitata, risponda alle argomentazioni esposte in più testi pubblicati dal centro Informare un’h, la riflessione di Lucchesi sposta l’attenzione dal diritto al desiderio, alla cura e alla relazione, intrudendo elementi di fondamentale importanza e tenendo alto il livello del confronto. (Simona Lancioni)

 

Una bella immagine di Marina Lucchesi.

La libertà delle donne che fa paura anche alle persone con disabilità”, questo il titolo di un interessante articolo di Simona Lancioni che mi ha fatto molto riflettere dal momento che sono una donna e, guarda caso, con disabilità! Insomma riguardo a questo tema mi trovo ad un incrocio che non posso ignorare, anche perché si tratta sì di una posizione scomoda, ma anche di un eccellente punto d’osservazione.

Ammetto che in determinate situazioni può anche arrecare un certo disturbo, un senso di scissione: sono più donna o più persona con disabilità? In quale di queste due connotazioni mi trovo maggiormente a mio agio, dove mi sento veramente “a casa mia”?

Una domanda che, seppur non formulata così chiaramente, mi ha accompagnato per tutta la vita, come una colonna sonora a volte impercettibile, altre talmente fragorosa da restarne stordita. Una presenza che mi sbilanciava quando in una direzione, quando nell’altra.

Eppure la risposta non era difficile, era lì, anzi qui, dentro di me. Solamente non era semplicissimo riuscire a distinguerla, nel frastuono di un mondo costruito su un modello di perfezione imposta dalle varie declinazioni assunte dal patriarcato attraverso i tempi e le geografie.

La risposta, non così scontata come potrebbe apparire a prima vista, è: sono una donna con disabilità. Un corpo sessuato, desiderante e intero. Un corpo che ha tutto il diritto di esistere ed essere felice. Prima di ciò, tuttavia, vi è un passaggio obbligatorio: questo corpo deve essere messo al mondo. E qui arriviamo al nocciolo della questione.

Nel suo articolo Lancioni porta due esempi: due donne, una in sedia a rotelle ed una con sindrome di Down, le quali si sentono lese da una possibile interruzione di gravidanza che avrebbe potuto essere messa in atto dalla madre. Qui il condizionale ci sta tutto, infatti sono entrambe in vita e belle combattive. Perseguono entrambe l’obiettivo di poter ottenere leggi che impediscano alle donne gravide di effettuare aborti terapeutici in caso di gravi malformazioni del feto. Donne che vogliono limitare la libertà di altre donne, senza rendersi conto che in questo modo limitano anche la propria. Dico subito che in questo ambito la libertà delle donne non si tocca, solo la donna può decidere su ciò che avviene nel suo corpo e dicendo corpo intendo non solo il corpo materiale, ma l’unione corpo-mente e tutto ciò che vi gira intorno e ne consegue.

E i diritti umani delle persone con disabilità dove li mettiamo? Credo che a questo abbia risposto Simona, con argomentazioni puntuali e citando per filo e per segno la normativa vigente. So che alcuni gridano al ritorno del nazismo senza fare una considerazione importante. Lo sterminio delle persone con disabilità, nel periodo nazista, rientrava in un disegno scientifico e criminale che aveva come obiettivo la purificazione della razza e il risparmio di risorse da stornare dai mangiatori inutili a favore dei tedeschi adatti a realizzare la grande Germania. Niente a che fare, quindi, con la decisione di una donna di abortire venendo a conoscenza di una situazione che, per qual si voglia motivo, non si sente di affrontare. Purtroppo, come sempre accade, si scarica tutto il peso su di lei, colpevolizzandola e facendo pressioni per distrarla dalla sua decisione.

Pressioni che si presentano anche in modo antitetico: da una parte si vorrebbe che le donne portassero avanti la gravidanza a tutti i costi nel caso vogliano interromperla, dall’altra si preme affinché la interrompano se la decisione è di portarla a termine. In ambedue le circostanze si esercita una coercizione che è violenza a tutti gli effetti.

Fino ad ora ho nominato le donne in generale, ma le donne con disabilità si trovano anch’esse a scontrarsi con gli stereotipi che tutte e tutti ci attraversano e a subire le stesse pressioni delle altre e, probabilmente, con minori strumenti a disposizione per difendersi. Infatti purtroppo è accaduto e accade che donne con disabilità non vengano adeguatamente informate su sessualità e riproduzione. Non sono lontani gli anni in cui si praticava ancora la sterilizzazione di donne, e anche uomini, disabili a loro insaputa, magari approfittando di interventi chirurgici cui erano sottoposti per altri motivi. Non mi meraviglierei se questa pratica aberrante fosse ancora in voga da qualche parte, ma non posso esprimermi in merito non essendo in possesso, nel momento in cui sto scrivendo, di dati precisi [si veda, a tal proposito il seguente approfondimento, N.d.R.].

Inoltre non sono rari casi di donne con disabilità incinte costrette a subire pressioni da familiari, amici, sanitari ecc. e, forse, ad assoggettarsi a decisioni altrui. Ecco perché sostengo che la libertà delle donne non solo è legittima, ma deve sempre più allargarsi ed emanciparsi da interferenze esterne.

La maniera in cui le due donne con disabilità menzionate sopra affrontano il tema è, a mio parere, assai discutibile. Infatti non si risolvono problemi così complessi a suon di raccolta di firme e leggi.

Direi di spostare ora l’attenzione dal diritto al desiderio, alla cura e alla relazione. E qui una domanda devo proprio farla: cosa trasforma una gravidanza desiderata in indesiderata quando si viene a sapere che il feto è malformato? È un vero rifiuto o non è piuttosto un qualche tipo di timore?

Pongo questa domanda perché è strettamente legata alla libertà delle donne. Infatti alle donne si chiede tanto, troppo, si chiede la rinuncia ai propri spazi, alla propria autonomia (un tema, l’autonomia, tanto caro a noi persone con disabilità), si chiede loro di portare sulle proprie spalle carichi pesantissimi senza veri sostegni, le si pone dinanzi a scelte che avranno ripercussioni su sé stesse e sui loro figli e figlie. Una di queste scelte, probabilmente la più frequente, è quella tra la rinuncia all’indipendenza economica e l’estenuante conciliazione fra tempi del lavoro retribuito e quelli della cura, che è lavoro non retribuito.

Diverso sarebbe se, in luogo del profitto, la cura e la relazione fossero centrali nella politica, nell’economia, nella vita di tutti e tutte. Diverso sarebbe se la malattia e la disabilità non fossero una “tassa” che la società deve pagare per sentirsi civile, bensì una condizione della vita fra altre condizioni possibili.

Quindi non diamo fuoco alla pira per bruciare sempre le stesse streghe, ma chiamiamo le istituzioni e la società alle loro responsabilità, perché anche l’abbandono e la mancanza di presa in carico di situazioni difficili, è pur sempre un atto coercitivo, incivile e violento.

Ripensare la politica e l’economia riportando al centro la cura e la relazione, può aprire spazi impensati e impensabili finché si continuerà a considerare il profitto il motore del progresso. Profitto che ha fra le sue voci più redditizie il lavoro non pagato delle donne, incidendo in modo considerevole sulla loro liberta, felicità e tranquillità, condizioni necessarie per quella meravigliosa capacità di cui sono state dotate: mettere al mondo il mondo.

 

Vedi anche:

Simona Lancioni, La libertà delle donne che fa paura anche alle persone con disabilità, «Informare un’h», 22 ottobre 2021.

Simona Lancioni, La mistica della maternità e le associazioni di persone con disabilità, «Informare un’h», 15 ottobre 2021.

Simona Lancioni, Senza giudicare, è questo il modo più adeguato per parlare di aborto terapeutico, «Informare un’h», 7 ottobre 2021.

Donne in piazza. Quale ripresa? La rivoluzione della cura è tutta un’altra storia!, «Informare un’h», 24 settembre 2021.

Sezione del centro Informare un’h dedicata al tema “Donne con disabilità: diritti sessuali e riproduttivi”.

Sezione del centro Informare un’h dedicata al tema “La violenza nei confronti delle donne con disabilità”.

Sezione del centro Informare un’h dedicata al tema “Donne con disabilità”.

 

Ultimo aggiornamento il 4 Novembre 2021 da Simona