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Caregiver familiari: il testo unificato e i lavori parlamentari

Carlo Giacobini, direttore responsabile di HandyLex.org e direttore editoriale del portale «Superando.it».

Carlo Giacobini espone il suo intervento al seminario «Il riconoscimento del caregiver familiare».
Carlo Giacobini espone il suo intervento al seminario «Il riconoscimento del caregiver familiare».

Il Parlamento italiano, dalla Legislatura in corso, ha iniziato a dimostrare maggiore attenzione al tema dei caregiver familiari. Presso il Senato e ancora più presso la Camera dei Deputati, sono stati depositati disegni e progetti di legge che coinvolgono, almeno come firmatari, parecchie decine di parlamentari (solo al Senato oltre 150). L’interesse per il tema, almeno nei numeri, esiste quindi in entrambi i rami del Parlamento.

Nonostante a Palazzo Madama il numero di disegni di legge sia più limitato (tre atti), è proprio al Senato che è stata incardinata la discussione per poi passare alla Camera. Questo passaggio, ad oggi, va ritenuto del tutto teorico approssimandosi il verosimile scioglimento anticipato delle Camere. Ma vediamo la situazione al momento di andare in stampa.

 

Alla Commissione Lavoro e Previdenza sociale (11ª) del Senato è stato dunque affidato il compito, in sede referente, di analizzare tre disegni di legge in tema di caregiver familiari, ossia coloro che assicurano assistenza a congiunti con disabilità. Un tema che investe ormai milioni di famiglie con vari gradi di gravità in termini di sovraccarico personale, salute, relazioni e ricadute economiche. Le aspettative sono, quindi, notevoli.

I disegni di legge (ddl) attualmente in esame al Senato sono tre. Il ddl 2128 (Bignami e altri); il ddl 2266 (Angioni e altri); il ddl 2048 (De Pietro e altri).

Per completezza, i tre testi,molto diversi fra loro, recano anche titoli differenti.

Il ddl 2048 (De Pietro e altri): “Misure in favore di persone che forniscono assistenza a parenti o affini anziani”.

Il ddl 2128 (Bignami e altri): “Norme per il riconoscimento ed il sostegno del caregiver familiare”.

Il ddl 2266 (Angioni e altri): “Legge quadro nazionale per il riconoscimento e la valorizzazione del caregiver familiare”.

Il tema è quello del caregiver familiare cioè di chi si prende cura, al di fuori di un contesto professionale e retribuito, di una persona, generalmente un familiare, assicurandole assistenza, supporto, sostegno che sono necessarie a causa dell’età, di una menomazione, di una patologia e a causa dell’assenza o della carenza di servizi pubblici adeguati e sufficienti alla situazione.

 

Tre proposte, tre diverse impostazioni

I tre disegni di legge tentano di affrontare il tema, ma con un taglio diverso. Prima di entrare nei fondamentali dettagli, proponiamo una sintetica panoramica.

Il ddl 2266 (Angioni) punta a tracciare le linee di orientamento per una successiva regolamentazione regionale sulla materia, limitando i benefici effettivi e diretti ad agevolazioni fiscali in termini di detrazione di spese sostenute per l’assistenza e a un ampliamento della platea dei beneficiari dei permessi lavorativi (ex legge 104/1992). Fra le azioni più di sistema invece prevede un’indagine multiscopo da affidare all’ISTAT e interventi di sensibilizzazione.

Il ddl 2218 (Bignami), al contrario, contempla una serie di benefici di varia entità sia in ambito previdenziale (contributi figurativi), che di copertura assicurativa (malattia, infortuni, malattie professionali), indicando però in modo molto stringente sia la platea dei beneficiari che la tipologia di limitazioni funzionali da considerare meritevoli di tutela. Purtroppo il disegno di legge non indica la copertura della relativa spesa.

Il ddl 2048 (De Pietro) ha intenti e finalità diverse: favorire l’assistenza delle persone anziane di età pari o superiore agli 80 anni. In realtà i benefici previsti sono piuttosto limitati: agevolazioni fiscali sulle spese sostenute per l’assistenza, circoscritte però ai bassi redditi, e incentivazione del part-time (così nel testo, NdR).

Nessuno dei tre ddl prevede interventi di sistema per contenere o prevenire il ricorso al caregiving familiare, potenziando i servizi a sostegno della domiciliarità o della vita indipendente delle persone con disabilità, né altre azioni di sistema.

Il testo unificato

I tre disegno sono stati assegnati come detto, in sede referente, alla 11ª Commissione del Senato (Lavoro, previdenza sociale) che ne ha deciso l’esame congiunto nella seduta pomeridiana del 24 gennaio 2017, ma solo nella seduta del 27 settembre 2017 è stato presentato lo schema di testo unificato, cioè la base su cui ora la Commissione procederà alla discussione.

Come sovente accade, quando i testi sono molto diversi fra loro, la sintesi finisce per livellarne i contenuti, sfrondando gli aspetti troppo dissimili e tentando mediazioni.

Ed è significativa la dichiarazione, nella seduta del 27 settembre, del relatore Pagano (AP-CpE-NCD) nel presentare lo schema di testo unificato dei tre disegni. Pagano, infatti, puntualizza “che il testo proposto non comporta oneri aggiuntivi di finanza pubblica, perché orienta l’attività delle regioni e delle province autonome, nell’ambito del riparto costituzionale di competenza tra queste e lo Stato, e rimanda alla sessione di bilancio la quantificazione delle risorse che lo Stato destinerà a favore dei prestatori volontari di cura che sono identificati nel testo proposto.”

In sintesi ne esce un testo che tenta di abbozzare una definizione di caregiver, che tratteggia possibili azioni di ambito regionale, che non attribuisce alcuna nuova responsabilità allo Stato se non quella di definire i criteri di individuazione degli “assistiti”. Il resto (misure previdenziali, assistenziali individuali o di sistema …) è rinviato sine die.

Un testo molto limitato, quindi, rispetto alle aspettative e comunque non privo di coni d’ombra definitori e applicativi.

Ma vediamo i contenuti nel concreto.

 

Le finalità

Il primo articolo del testo unificato illustra le finalità della norma, ma si tratta più che altro di una descrizione dell’esistente: lo Stato “riconosce l’attività di cura non professionale e gratuita prestata nei confronti di persone che necessitano di assistenza a lungo termine a causa di malattia, infermità o disabilità gravi, svolta nel contesto di relazioni affettive e familiari, ne riconosce il valore sociale ed economico connesso ai rilevanti vantaggi che trae l’intera collettività”.

In tale edulcorata premessa scompare l’evidenza che tale attività troppo spesso sussiste a causa dell’assenza o della limitazione di servizi di sostegno pubblici e accessibili alle famiglie, sia in forma diretta che indiretta. Da notare come già il primo articolo limiti pure il raggio di azione alla gravità delle menomazioni (il termine disabilità ancora una volta non viene usato nell’accezione che discende dalla Convenzione ONU sui diritti delle persone con disabilità).

Solo l’ultima frase dell’articolo azzarda, a favore dei caregiver, una timida “tutela al fine di conciliarla [l’attività di assistenza, NdR] alle esigenze personali di vita sociale e lavorativa”.

 

Valorizzazione e sostegno

L’articolo che prevede futuribili e possibili azioni di sostegno è il secondo. Qui il relatore e chi l’ha supportato ha scelto, semplificandone di molto il disegno, la linea della proposta Angioni, cioè di orientamento alle Regioni che possono agire nei limiti di bilancio.

Va anche detto che in realtà, anche in forza dell’attuale impostazione costituzionale (Titolo V), queste competenze sono esclusive delle Regioni, quindi al Legislatore (nazionale) non rimangono che due opzioni: o fornire orientamenti generali e non vincolanti per una regolazione regionale o fissare dei livelli essenziali di assistenza, validi su tutto il territorio nazionale, che però dovrebbe adeguatamente finanziare. Il testo unificato sceglie la prima ipotesi (che non comporta impegno economico, evita attriti con le Regioni, ma al contempo rende alquanto probabile una profonda disomogeneità di trattamento sul territorio nazionale).

Gli interventi e le azioni che il secondo articolo profila come auspicabili (lo ripetiamo non sono diritti, né livelli essenziali, né obiettivi di servizio) sono numerosi e in alcuni casi viene da chiedersi perché non esistano già in modo consolidato.

 

Prendiamo ad esempio la prima lettera, la a), che prevede “un’informazione puntuale ed esauriente sulle problematiche dell’assistito, sui suoi bisogni assistenziali e sulle cure necessarie, sui criteri di accesso alle prestazioni sociali, socio-sanitarie e sanitarie, nonché sulle diverse opportunità e risorse esistenti nel territorio che possano essere di sostegno all’assistenza e alla cura;”. Francamente riteniamo questa “indicazione” già esigibile, evidente e spesso praticata dai servizi sociali già oggi, senza la necessità di una nuova disposizione. E se non viene praticata non è certo per un vuoto normativo.

La stessa riflessione vale per l’ultima lettera, la l), che prevede la “domiciliarizzazione delle visite specialistiche nei casi di difficoltà di spostamento dell’assistito, compatibilmente con la disponibilità del personale medico e l’organizzazione dei servizi sanitari.” Non appare “rivoluzionario” ricordare che la spedalizzazione a domicilio comporta già – ove tecnicamente possibile – l’esecuzione di visite specialistiche a domicilio. In molti territori già accade; laddove non è garantito non è certo, ancora una volta, a causa di un vuoto legislativo.

Le Regioni poi possono, in funzione della nuova norma se approvata, offrire “opportunità formative al fine di sviluppare maggiore consapevolezza rispetto al ruolo svolto”, “supporto psicologico, al fine di sostenere il caregiver nella ricerca e nel mantenimento del benessere e dell’equilibrio personale e familiare, per prevenire rischi di malattie da stress fisico-psichico”; “consulenze e contributi per l’adattamento dell’ambiente domestico dell’assistito”.

Più concretamente le Regioni dovrebbero incentivare “soluzioni condivise nelle situazioni di emergenza personale o assistenziale” e “interventi di sollievo, di emergenza o programmati, attraverso l’impiego di personale qualificato anche con sostituzioni temporanee” a domicilio. Il testo ricorda anche che è possibile “il supporto di assistenza di base attraverso assistenti familiari o personali” cioè che il caregiver può essere aiutato nello svolgimento delle sue attività dai servizi assistenziali.

Scompare dal testo unificato qualsiasi riferimento a tutela previdenziale, contributi figurativi, pensionamento anticipato, malattie professionali, infortuni e quant’altro, cioè le parti più appetibili e interessanti del Disegno di legge Bignami.

 

Il caregiver cambia nome?

Attenzione: tutte queste azioni regionali (possibili) sono orientate, per espressa e letterale indicazione dell’articolo 2 a “caregivers che volontariamente prestano cura e assistenza a persone non autosufficienti”. Lo sottolineiamo perché il successivo articolo 3 cambia – come vedremo – registro definitorio con una certa incertezza di tipo tecnico.

Il terzo articolo, infatti, reca: “Definizione di Prestatore Volontario di Cura”; razionalmente viene da ritenere che sia la “nuova” definizione di caregiver, ma il disorientamento è conseguente alla precisazione “di competenza dello Stato”, che favorisce una interpretazione: le Regioni continuino pure a usare il termine “caregiver”, ma lo Stato per i suoi interventi di natura economica e sociale (non definiti) userà il termine “Prestatore Volontario di Cura”. Il che non è il massimo in termini di coerenza semantica né politica: potrebbe accadere che chi è un caregiver per la propria Regione non lo sia per il proprio Paese.

 

La definizione adottata ha comunque tre tratti peculiari.

Il primo è la gratuità dell’assistenza, il che esclude la possibilità di considerare Prestatore Volontario di Cura un familiare assunto come assistente.

Il secondo criterio è il grado di parentela o affinità: oltre al coniuge (incluso unione civile o convivente di fatto), vengono ammessi i familiari o gli affini entro il secondo grado e gli affidati.

Non è previsto alcun riferimento formale all’obbligo della convivenza.

Il terzo elemento è quello della situazione personale dell’assistito e appare la più critica, riprendendo in larga misura le indicazioni del DDL Bignami che unisce in modo disarticolato definizioni normative già esistenti.

La definizione proposta per individuare l’assistito è: “a causa di malattia, infermità o disabilità gravi, è riconosciuto invalido civile al punto da necessitare assistenza globale e continua ai sensi dell’articolo 3, comma 3, della legge 5 febbraio 1992, n. 104, per almeno 54 ore settimanali, ivi inclusi i tempi di attesa e di vigilanza notturni.”

Sotto il profilo tecnico rileviamo che il secco riferimento all’invalidità civile, esclude – ad esempio – le persone cieche e sordocieche, oltre a tutte le persone con invalidità pur gravissime di altra origine (invalidi per servizio, del lavoro). Esclude inoltre i minori pur invalidi civili titolari di indennità di frequenza o i minori ciechi.

Inoltre il riferimento all’articolo 3, comma 3, della legge 104/1992 appare contraddittorio in abbinata all’indicazione delle 54 ore di assistenza. La definizione dell’articolo 3, comma 3, infatti, già prevede “un intervento assistenziale permanente, continuativo e globale nella sfera individuale o in quella di relazione”. Ci si chiede come “un intervento permanente, continuativo e globale” possa essere contingentato in 54 ore… a meno di non ridiscutere la stessa legge 104/1992.

Ad ogni buon conto il successivo articolo 4 attribuisce al Ministro del Lavoro e delle politiche sociali, d’intesa con il Ministro della Salute, il compito di definire con decreto le modalità di accertamento dei requisiti del Prestatore Volontario di Cura e dell’assistito.

Forse il decreto potrebbe sanare anche altri dubbi applicativi e operativi quali ad esempio come vadano trattati i casi di plurima presenza di persone con disabilità da assistere, o la presenza plurima di persone con menomazioni non “sufficientemente” gravi ma ugualmente severe nello stesso nucleo.

Con l’ultimo comma dello stesso articolo il testo fissa una ulteriore condizione: il riconoscimento della qualifica di Prestatore Volontario di Cura preclude a tutti gli altri familiari lavoratori, fatta eccezione per i genitori, la facoltà di godere delle disposizioni di cui all’articolo 33 della legge n. 104 del 1992, in relazione allo stesso assistito.

Nella sostanza, se si ottiene il riconoscimento (parrebbe a prescindere da effettivi benefici economici o sociali) di Prestatore Volontario di Cura, nessun lavoratore dello stesso nucleo può accedere ai benefici dell’articolo 33 della legge 104/1992. Va ricordato che l’articolo in questione riguarda non solo i permessi, ma anche il divieto di trasferimento di sede di lavoro. L’estensore si è poi dimenticato di escludere anche i benefici del Decreto legislativo 151/2001 (l’art. 42 prevede i congedi biennali retribuiti).

 

Conclusioni

L’attuale schema di testo unificato difficilmente potrà essere emendato radicalmente, per lo meno in Commissione Lavoro, visto il livello di mediazione raggiunto. La scelta operata rappresenta la selezione delle parti meno di impatto dei tre testi originali. Da un lato restituisce le responsabilità e le iniziative alle singole Regioni e dall’altro evita di fissare un qualsiasi obiettivo di servizio (premessa a specifici livelli essenziali di assistenza validi in tutto il Paese).

Al contempo rimanda sine die l’impegno dello Stato (ché non è certo delle Regioni) di intervenire in ambiti delicati come quelli previdenziali, di tutela della salute, malattie professionali, infortuni e altro.

E permane anche ciò che a suo tempo abbiamo evidenziato e che ripetiamo: quel retropensiero non condivisibile secondo cui l’attività di caregiving vada incentivata poiché è una scelta volontaria e apprezzabile. Se in alcuni casi ciò corrisponde al vero, in moltissimi casi non è affatto una scelta, ma il risultato dell’assenza o della carenza di servizi territoriali sufficienti, adeguati, efficaci al sostegno delle persone e delle famiglie. Una condizione che colpisce – è utile ribadirlo – soprattutto le donne. In tal senso nei tre testi originali e ancor meno nello schema di testo unificato troppo poco o troppo timidamente si rilevano volontà di favorire un welfare (anche aziendale) che modifichi lo scenario attuale in modo consistente e in tempi certi.

Per completezza, al momento di andare in stampa, al testo unificato sono stati presentati numerosi emendamenti il che lascia supporre che la discussione che ne seguirà sarà tutt’altro che breve tanto da rendere ancora più probabile che il tutto, in questa Legislatura almeno, si risolva in un nulla di fatto.

 

 

Nota: la presente relazione è stata esposta nell’ambito del seminario «Il riconoscimento del caregiver familiare», tenutosi a Peccioli il 29 settembre 2017.

 

Torna alla pagina principale degli atti del seminario «Il riconoscimento del caregiver familiare».

 

 

Ultimo aggiornamento: 30 ottobre 2017

Ultimo aggiornamento il 30 Ottobre 2017 da Simona