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Dibattito sul caregiving, alcune precisazioni

Continua il dibattito sull’interdipendenza della cura e sulla relazione che intercorre tra le persone con disabilità e i/le caregiver, coloro che prestano assistenza in modo globale, continuo e gratuito ad un familiare non autosufficiente a causa di una disabilità o di situazioni legate a patologie o all’invecchiamento. Segnaliamo gli ulteriori contributi, e diamo qualche breve precisazione.

Una mamma ceregiver assiste suo figlio con disabilità motoria.

A seguito della pubblicazione del mio ultimo contributo al dibattito sull’interdipendenza della cura e sulla relazione che intercorre tra i/le caregiver e le persone con disabilità (il cui sviluppo è ricostruito in calce), sul portale «Superando.it» sono intervenuti nuovamente Alessandra Corradi, dell’Associazione Genitori Tosti in Tutti i Posti, e Lorenzo Cuffini, dell’Associazione Gilo Care. A ciò si è aggiunto un ulteriore contributo dell’Associazione Genitori Tosti in Tutti i Posti pubblicato sul loro blog ufficiale. Non avevo intenzione di intervenire nuovamente, ma poiché alcune affermazioni denotano un totale fraintendimento del mio pensiero, limitatamente a queste specifico quanto segue.

Non ce l’ho con nessun/e caregiver familiare, neppure con quelli/e che hanno idee diverse dalle mie, ribadisco ancora una volta il mio personale apprezzamento e il mio rispetto per chiunque svolga questo ruolo.

Condivido con i/le caregiver la battaglia per il riconoscimento e la tutela di questa figura, la circostanza che io non consideri risolutivo il fatto di stipendiarla non implica in alcun modo il disconoscimento delle loro difficoltà e delle gravissime violazioni dei diritti umani che subiscono quotidianamente. Difficoltà e violazioni per le quali esprimo la mia più sincera solidarietà.

Provo a sintetizzare il motivo per cui non considero risolutivo che la figura del caregiver venga remunerata. Se l’assistenza a una persona con disabilità richiede un impegno di 24 ore su 24, remunerare il/la caregiver va a tutelare un diritto economico – cosa non banale, visto che la disabilità è spesso causa di impoverimento ed esclusione sociale per le persone con disabilità e le loro famiglie –, ma non cambierebbe tutto il resto. Lo stipendio permetterebbe al/la caregiver di riposarsi dal lavoro di cura? Direi di no, per farlo deve esserci qualcuno o qualcuna che lo/la sostituisca. Lo stipendio permetterebbe al/la caregiver di curarsi in caso di malattia, avere più tempo per sé, coltivare relazioni sociali, avere un hobby extradomestico? Se non trova nessuno/a che lo/la sostituisca nel lavoro di cura, tutte queste attività continuerebbero ad essere precluse. Allora a me sembra che questa storia della remunerazione sia solo una trappola, e che per garantire davvero i diritti umani del/la caregiver (tutti, non solo quello economico) sia necessario lavorare per evitare che tutti gli oneri di cura rimangano accentrati in famiglia, come nell’attuale sistema di welfare. Per questo motivo non riesco ad appoggiare le proposte che invece di provare a redistribuire il lavoro di cura continuano a volerlo accentrare sempre nelle mani delle stesse persone.

Altra questione: è ampiamente documentato che il welfare familistico penalizza le donne, non è un caso che queste costituiscano la larga maggioranza dei caregiver. Ne consegue che se oggi i pochi dati disponibili quantificano nel 60% la percentuale di donne hanno abbandonato la propria attività per dedicarsi a tempo pieno alla cura, nel contesto familiare, di chi non è autonomo/a, la remunerazione del caregiver senza creare un sistema di servizi di supporto non farebbe altro che innalzare ulteriormente tale percentuale e rinforzare un sistema che “obbliga” le donne a stare a casa per accudire qualcuno/a, invece di svolgere il lavoro che si sono scelte e per cui hanno studiato e si sono formate. Non si possono più promuovere politiche che discriminano le donne e questo non è un vezzo, un principio astratto o una teoria astrusa, ma un aspetto che ha un impatto diretto, concreto e pesantissimo sulle loro vite. Tale divieto è sancito anche da diverse Convenzioni che l’Italia ha ratificato, e non può essere disatteso solo perché alcuni/e caregiver sembrano non coglierne la rilevanza. Una proposta politica è buona solo se non discrimina nessuno/a.

Un ultimo aspetto da precisare è quello inerente alla domiciliarità. Saluto con favore tutte le politiche di contrasto a qualsiasi forma di istituzionalizzazione, e dunque anche l’orientamento delle politiche inerenti alle persone con disabilità che spinge verso la domiciliarità. La qual cosa non significa che all’interno delle famiglie debbano essere tenute in piedi le attuali dinamiche di dipendenza reciproca che legano il/la caregiver e alla persona con disabilità di cui si cura. Riguardo a questo aspetto faccio miei gli assunti elaborati dai Movimenti per la Vita Indipendente che a tal proposito parlano di indipendenza dalla, della e nella famiglia. Indipendenza delle persone con disabilità (anche grave e gravissima) dalla famiglia attraverso l’assistenza personale autogestita o altri servizi di assistenza qualificati (con particolare riguardo alle persone con necessità di supporto intensivo); indipendenza della famiglia dal lavoro di cura permettendo ai congiunti di fare semplicemente i congiunti contribuendo alla cura ma senza dover sopperire alle lacune statali; e, infine, libertà delle persone con disabilità di scegliere di stare nella propria famiglia – nella famiglia di origine o in una diversa – condividendo con i suoi componenti solo le cose che gradiscono condividere con loro, come previsto dall’articolo 19 della Convenzione ONU sui diritti delle persone con disabilità. L’auspicato riconoscimento e la tutela della figura del caregiver – a cui io aderisco senza riserve – non può prescindere dalla salvaguardia di questo principio. E questo non lo chiedo io, lo chiedono in tutti i modi possibili le persone con disabilità. Ascoltiamole!

Ringrazio quante e quanti sono intervenuti sino ad ora, non ho niente da aggiungere, mi sembra di aver scritto fin troppo. Spero che anche altre e altri – specie le persone con disabilità e i/le caregiver – esprimano il loro pensiero arricchendo questo confronto pubblico che considero importante.

Simona Lancioni
Responsabile del centro Informare un’h di Peccioli (Pisa)

 

Vedi anche:

Parole, parole, parole, blog «Genitori Tosti in Tutti i Posti», 15 gennaio 2022.

Lorenzo Cuffini, Caregiver: il piano dello studio e quello della vita quotidiana, «Superando.it», 10 gennaio 2022.

Alessandra Corradi, Per accendere sempre più i riflettori sui caregiver familiari, «Superando.it», 21 dicembre 2021.

Simona Lancioni, Caregiver: siate il peso che inclina il piano, «Informare un’h», 26 dicembre 2021.

Luigi Vittorio Berliri, Del lavoro di cura beneficia tutta la comunità, «Superando.it», 23 dicembre 2021.

Salvatore Nocera, Perché il lavoro di cura non deve più essere solo delle famiglie, «Superando.it», 22 dicembre 2021.

Lorenzo Cuffini, Il cambiamento nella cultura della cura e le esigenze concrete, «Superando.it», 22 dicembre 2021.

Alessandra Corradi, Per accendere sempre più i riflettori sui caregiver familiari, «Superando.it», 21 dicembre 2021.

Simona Lancioni, Quello che deve cambiare è il modo di pensare al lavoro di cura, «Informare un’h», 9 dicembre 2021.

Giorgio Genta, Per i caregiver dei “gravissimi” c’è solo la vita dipendente e a casa nostra, «Superando.it», 17 dicembre 2021.

Associazione Gilo Care, L’interdipendenza tra caregiver e assistito: un modello in continua evoluzione, 17 dicembre 2021.

Simona Lancioni, In latoguardia per cogliere l’interdipendenza della cura, «Informare un’h», 9 dicembre 2021.

 

Ultimo aggiornamento il 16 Gennaio 2022 da Simona