Menu Chiudi

Disabled Data: se i dati non esistono, le persone non esistono

Lanciato in questi giorni, il sito #DisabledData fa emergere il problema della mancanza di dati sulle persone con disabilita in Italia. In esso è disponibile una prima mappatura realizzata con modalità tali da agevolare la lettura dei dati stessi, nonché l’analisi critica e la messa a disposizione per l’adozione di politiche efficaci.

Su un foglio bianco a quadretti è disegnato un diagramma. Il foglio è poggiato su una scrivania assieme ad altri oggetti: due penne, un righello, dei foglietti e due libri (foto di Isaac Smith su Unsplash).

Quante sono le persone con disabilita in Italia? Di preciso non ci è dato saperlo, e non è un’operazione facile. La “nuova” definizione di disabilità, risalente al 2006, include tutti coloro che non dispongono di pari opportunità e sono impossibilitati nella vita quotidiana a causa di limiti imposti dal contesto. In parole povere, questo dato include una quantità enorme di persone, che magari temporaneamente si trovano in una condizione di disabilità, in seguito a un incidente, una malattia, all’avanzare dell’età o a un evento qualsiasi che prima o poi rischia di limitare vita che ognuno è abituato a condurre. Parlare di disabilità è quindi molto complesso, le sfumature sono tantissime, e i dati in questo caso non aiutano. Pubblicati in formati non accessibili a tutti, a volte nascosti all’interno di report, oppure sparpagliati su più piattaforme o perfino incompleti. Anche questi dati si possono definire ‘disabilitati’, non potendo esprimere il loro potenziale analitico e informativo, a causa di limiti imposti dal contesto. Ed e proprio da quest’ultima riflessione che nasce l’idea di Disabled Data o Dati Disabilitati.

Si tratta di una piattaforma digitale promossa dalla Fondazione FightTheStroke e progettata da Sheldon.studio con il supporto di onData per aprire i dati a un pubblico più ampio. «Abbiamo lavorato a questo progetto da oltre un anno, con una squadra fluida ma multifunzionale: i rappresentanti dei diritti, i minatori dei dati, i designer inclusivi, i giornalisti investigativi, gli sviluppatori. L’obiettivo è sempre stato quello di dare una risposta collettiva ai bisogni espressi dalla comunità delle persone con disabilità e dai loro alleati, superando le sfide dei pregiudizi, del dialogo mancato, degli interessi personali e delle fonti dati inaccessibili. Stanchi di leggere titoli di giornali banalizzanti o di sentirci dire che quell’informazione non era disponibile in maniera disaggregata perché riguardante ‘la privacy di persone vulnerabili’. Nonostante le barriere incontrate, ci è sembrato comunque doveroso perseguire l’obiettivo di una piattaforma comune, che andasse oltre il singolo corporativismo tipico di questo settore e che attraverso audizioni periodiche disegnasse uno spazio inclusivo e accessibile a tutti, ascoltando la voce di beneficiari, famiglie, statisti, medici, legali, giornalisti e istituzioni, da Nord a Sud, online e offline», afferma Francesca Fedeli, presidente della Fondazione FightTheStroke ETS che si occupa di giovani con una disabilita di Paralisi Cerebrale Infantile e che ha finanziato il progetto con proprie risorse ponendosi in linea con una missione universale di difesa dei diritti delle persone con disabilita. «L’obiettivo è quello di rendere maggiormente accessibili e restituire a giornalisti, esperti, cittadini, e attivisti i dati messi a disposizione da ISTAT ed EUROSTAT, affinché si possa parlare e scrivere di disabilità in maniera più informata e consapevole», aggiunge Matteo Moretti, designer e co-fondatore di Sheldon.studio che ha curato il design e lo sviluppo del progetto, con una particolare attenzione all’accessibilità del dato a persone con ogni tipo di disabilita. «Il lavoro di ISTAT è ammirevole, sia chiaro, e speriamo che Disabled Data serva come stimolo per ripensare insieme la filiera dei dati sulla disabilità, verso un processo di raccolta, pubblicazione, analisi e racconto più consistente e accessibile, in modo che i dati siano un bene comune», conclude Andrea Borruso, presidente dell’Associazione onData che si è occupata di raccogliere e razionalizzare i dati presentati sulla piattaforma.

Disabled Data e al suo primo rilascio, nei prossimi mesi verrà arricchito con ulteriori sezioni, per arrivare alla versione finale entro il 3 dicembre, Giornata Internazionale delle Persone con Disabilita, consentendo anche la possibilità di ricercare, condividere e contribuire alla piattaforma.

Da oggi, chiunque voglia scrivere, documentarsi o parlare di disabilità, ha uno strumento in più per proporre una narrazione, e soprattutto una percezione della disabilità consapevole e libera da stereotipi.

Ecco cosa ne pensano alcuni esperti di settore che hanno contribuito al progetto Disabled Data:

Simona Lancioni, sociologa
«Raccogliere dati sulla disabilità significa riconoscere che la disabilità non esiste come fenomeno astratto, e che quando parliamo di disabilità in realtà stiamo parlando di persone che oltre ad avere un qualche tipo di menomazione (fisica, sensoriale o intellettiva), hanno anche molte altre caratteristiche che influiscono in vario modo sulla possibilità di integrarsi e di partecipare in tutti gli àmbiti della vita. Concentrarsi su una variabile alla volta – la disabilità, il genere (binario e non), l’orientamento sessuale, l’appartenenza etnica, ecc. –, com’è stato fatto sinora, impedisce di cogliere la persona nella sua interezza. Ma nella realtà, giusto per fare un esempio, le discriminazioni di genere subite da una donna con disabilita vanno a sommarsi a quelle che la stessa donna subisce in quanto persona con disabilità. Dunque, che senso ha continuare a trattare questi due dati (ammesso che vengano raccolti) come se si riferissero a due soggetti diversi? Per dare risposte adeguate alle reali esigenze delle persone (disabili e non), dobbiamo smettere di smembrare le persone e iniziare a smembrare (disaggregare) i dati. Mi sembra che Disabled Data vada in questa direzione».

Consuelo Battistelli, disability manager
«Partire dai dati e fondamentale per focalizzare dove agire. Questo a maggior ragione se i dati si riferiscono alle persone, e nello specifico a persone in condizioni di svantaggio. I dati spesso ci sono, ma se non vengono raccolti con continuità, organizzati e comunicati coerentemente, come si può portare un reale aiuto? Il pressapochismo non è certo amico dell’inclusione. E se vogliamo davvero che questo sia l’obiettivo, e necessario avere un quadro preciso da cui partire. Ben vengano, aggiungerei finalmente, progetti come Disabled Data che ci aiutano anche a mettere in discussione il concetto stesso di inclusione. E a partire da qui si può aprire il dibattito».

Simone Riflesso, attivista queer e disabile
«L’eterogenea comunità delle persone disabili è fra le meno e peggio rappresentate sui media mainstream, accompagnate da stereotipi umilianti, linguaggio inopportuno e deumanizzante, oltre alle solite retoriche paternalistiche. Non fa certo eccezione la rappresentazione attraverso i dati, tanto che se si volesse descrivere la complessità della situazione sulle diverse forme di disabilita in Italia, ci si troverebbe in grande difficolta sia nel reperire i dati lacunosi esistenti, che a darsi una risposta e sviluppare opinioni. In quale modo allora, viene spontaneo chiedersi, è possibile fare interventi politici efficienti e puntuali a partire da queste premesse? Ma andando ancora a monte, sorgono spontanee tante domande: da quale punto di vista vengono raccolti i dati sulle disabilita? Con quale scopo? Le persone disabili sono direttamente coinvolte e opportunamente ascoltate oppure sono mero oggetto di ricerca? Le indagini avvengono con modalità accessibili oppure no? Quali àmbiti della vita delle persone disabili (e dei loro familiari) vengono indagati e quali invece lasciati nell’ombra? È per questo che quando sono
venuto a sapere del progetto Disabled Data mi si è accesa la spia dell’entusiasmo. Iniziative come queste sono importantissime, e non vedo l’ora di scoprire a cosa potrà portare in termini di chiarezza e innovazione».

Donata Columbro, giornalista
«In generale credo che per pianificare qualsiasi servizio, qualsiasi sostegno, qualsiasi politica pubblica si debba passare dalla consapevolezza di chi sono le cittadine e i cittadini a cui mi rivolgo, quali sono le loro abitudini, le loro esigenze. Tramite una raccolta dati che sia fatta però con il coinvolgimento delle comunità e che questi dati vengano in qualche modo anche restituiti, resi disponibili in formato aperto e accessibile in tutte le sue accezioni. Come è stato fatto con Disabled Data».

 

Fonte: comunicato dello staff di Disabled Data.

Contatti: Francesca Fedeli francesca@fightthestroke.org, Matteo Moretti matteo@sheldon.studio, Andrea Borruso aborruso@gmail.com

Hashtag: #DisabledData #DatiDisabilitati

 

Vedi anche:

Sito Disabled Data.

Fondazione FightTheStroke.

Sheldon.studio.

onData.

 

Ultimo aggiornamento il 25 Ottobre 2022 da Simona