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Interventi di alcuni assistenti personali

Elisabetta Gasparini

Abbiamo parlato tanto di assistenti personali, se c’è qualcuno che vuole fare qualche domanda ad un assistente personale ne abbiamo uno a disposizione in questo momento, e se volete ne possiamo trovare anche degli altri.

Un assistente personale

Piacere, sono Emanuele, e sono il suo dipendente – indica la persona disabile -, lui è il mio datore di lavoro. La flessibilità è uno dei punti fondamentali del nostro rapporto di lavoro. Questo non è un lavoro in catena di montaggio, dipende dalle sue necessità e da come si organizza lui giornalmente. Ora, in linea di massima, c’è un orario più o meno stabilito per dare una sorta di routine, ma la routine può essere sconvolta in qualsiasi momento a seconda delle necessità che ci sono da parte del datore di lavoro. Siccome è un datore di lavoro intelligente sa che di quando in quando ci sono anche le mie necessità. Chiaramente. Però è un lavoro e, come qualsiasi altro lavoro, prima c’è il lavoro poi c’è il resto. Giovedì scorso mi sono fatto un intervento al dente e al mattino – invece di essere in ufficio – ero dal dentista. Mi sembra una cosa normale. Sono quattro anni che faccio questo lavoro e finora mi sono trovato benissimo. Non è che ci siano stati problemi particolari. Il rapporto è a due, poi ci sono anche i rapporti con la famiglia, quello con la sua compagna, però il datore di lavoro è la persona disabile. Lavoro per lei, ecco. Il fatto di dover mantenere un basso profilo non mi costa, non so se ci riesco sempre, dovreste chiederlo a lui. Però non è una cosa difficile da fare. E’ importante non soverchiare il datore di lavoro. E’ stato importante entrare nella prospettiva che la persona disabile non è il mio assistito, ma il mio datore di lavoro. Questo è – secondo me – l’aspetto fondamentale del mio lavoro.

Elisabetta Gasparini

Io ho una domanda: c’è tanta disoccupazione in Italia, ci sono tanti ragazzi che non trovano lavoro, perché questo non interessa? Perché ci sono così pochi assistenti personali italiani?

Un assistente personale

Perché forse è vissuto un po’ come un lavoro precario. In realtà, quando mi è stato proposto io ho detto: “mi va bene, io ho bisogno di uno stipendio per campare, per andare avanti e riuscire a costruirmi la mia vita. Non può essere uno stipendio “aggiuntivo”, deve essere uno stipendio pieno”. Ci siamo organizzati in modo che potesse essere così. Per cui io ho avuto un mutuo grazie a questo lavoro. Lui mi ha fatto un’assunzione a tempo indeterminato, sono andato in banca e ho comprato casa. Forse è questo il punto fondamentale. Se si propongono contratti a progetto, tutte queste forme contrattuali molto aleatorie che comunque sono molto in voga in Italia, questa è una cosa che non dà sicurezza. Il mio datore di lavoro ha cercato di creare qualcosa che mi desse stabilità. Lui mi ha dato stabilità e io ho dato costanza. Sono quattro anni che lavoro per lui e spero di continuare a lavorare per lui. Ogni anno cerchiamo di fare il punto della situazione per capire se c’è qualcosa da limare o da rivedere. Credo che gli assistenti manchino perché manca la certezza di continuità… ma in realtà quest’ultima manca in tutti i lavori. A volte mi chiedono se sono un infermiere… è importante dire che io non ho nessuna competenza medica. Tutto quello che faccio per il mio datore di lavoro me lo ha insegnato lui. Un’altra cosa fondamentale di questo tipo di lavoro è il rispetto della privacy, perché chiaramente, facendo io delle cose anche private non devo andare in giro a divulgarle. E’ importante che lui si senta libero e che abbia la certezza che tutto quello che mi chiede rimanga tra me e lui. Come assistente sono poco d’accordo con coloro che affermano che l’assistente debba essere un “ausilio puro”, non perché la cosa mi sminuisca come persona, ma perché, secondo me, in un rapporto di lavoro c’è anche la componente umana. Ho fatto anche altri lavori, ho lavorato negli uffici, alla fine avevo dei colleghi di ufficio, dei datori di lavoro con i quali uscivo e andavo a bere qualcosa. C’era sempre il rispetto del rapporto datore di lavoro/dipendente. Il rapporto umano quando stai tante ore insieme si crea inevitabilmente, l’importante è che venga mantenuto il rispetto reciproco.

Elisabetta Gasparini

Grazie per il tuo chiarissimo intervento. Vorrei fare anche altre considerazioni. Una è che se la necessità di assistenza è di 24 ore ovviamente gli assistenti che devono ruotare per forza di cose sono tanti. Almeno quattro/sei, di cui tre potrebbero essere a tempo pieno e gli altri part-time. Bisogna tener conto che devono essere coperte tutte le notti e le giornate festive, che è necessario fare sostituzioni durante i periodi di ferie, permessi o malattie. Si può immaginare facilmente quanto costi tutto questo. Però anche la persona con disabilità con un piccolo budget, se ha esigenze di tipo variabile, può pensare di avere più di un assistente per fare con persone diverse cose diverse. Ad esempio, la persona che viene a casa mia la mattina e che mi tira su dal letto, con la quale vado in bagno e mi vesto, pulisco e metto a posto la casa, non è la stessa persona con la quale vado a fare il bagno in mare e che deve avere dei requisiti di forza fisica diversi, né è la stessa con la quale vado a fare le trasferte. Se il budget è piccolo, occorre ottimizzarlo avendo assistenti part-time diversi a seconda delle esigenze. Una caratteristica fondamentale è la flessibilità, nell’orario e nelle mansioni, che rientra nell’ambito degli accordi tra datore di lavoro e assistente. Ma la flessibilità è anche quella per cui la persona con disabilità debba poter spendere i soldi quando le servono, così, ad esempio, se questa – pur percependo un contributo di 500 euro al mese – in un solo mese decidesse di spenderne 2000 per andare in vacanza, deve poterlo fare. Alla fine dell’anno l’ente erogatore ha il compito di verificare che i soldi pubblici siano spesi in modo congruo, ma non di quando siano stati spesi. Il “come sono spesi” deve rimanere di esclusiva prerogativa della persona con disabilità dal punto di vista decisionale.

Un assistente personale:

Io sono Quinto, vengo dalle Filippine e sono l’assistente personale di Mirco. Nel sentire la testimonianza di Enrico mi sono tornati in mente i giorni in cui anche noi ci trovavamo nella stessa situazione. Infatti fino a marzo sono arrivati i contributi della Regione poi c’è stata un’interruzione e per diversi mesi Mirco non li ha più ricevuti. Quindi anche l’assistente non percepiva più lo stipendio. Mirco mi ha parlato spiegandomi che la situazione riguardava il mio diritto e il suo dovere. La sua preoccupazione era salvaguardare i miei diritti perché un assistente personale non fosse considerato un lavoratore di serie B. Sono stato quasi quattro mesi senza stipendio. Lui ora vive in casa da solo. Da ciò la decisione di andare a occupare l’ufficio dell’assessore di Firenze dalle otto del mattino sino alle sette di sera. Sino a quando è venuta la guardia e ci ha chiesto “Ragazzi, ditemi, cosa devo fare? Perché io so cosa devo fare, ma voglio sentirlo da voi. Chiamo i carabinieri?”. Noi abbiamo risposto: “Li chiami i carabinieri, così almeno si fa qualcosa”. Sono arrivati i carabinieri. In questo modo abbiamo fatto una protesta per rendere visibile la nostra situazione. Ciò che ha fatto Mirco è emblematico perché rappresenta un problema che non è solo suo, ma è anche di tante altre persone che non escono allo scoperto. Solo chi ha il coraggio riesce ad ottenere qualcosa. Le Istituzioni hanno iniziato a rimpallare il problema dicendo che la questione non dipendeva da loro, che il servizio era stato decentralizzato, che il riferimento era l’Azienda USL, ma quando ci siamo rivolti all’Azienda USL loro ci hanno rimandato in Regione dicendo che la decisione dipendeva da loro. Allora siamo tornati in Regione a protestare e, questa seconda volta, abbiamo ottenuto qualcosa: ci hanno detto che avrebbero provveduto a erogare il contributo attingendo alla cassa di emergenza. A quel punto sono arrivati i soldi. Da questa esperienza abbiamo capito che i soldi ci sono ma loro non li vogliono tirare fuori perché pensano che tanto i disabili non protestano. E se i disabili non protestano vuol dire che i problemi non ci sono. Così noi abbiamo risolto il problema, ma sappiamo che da altre parti queste situazioni continuano a verificarsi. Alcuni disabili riescono a tamponare con soldi propri, ma altri – come Mirco – che vivono da soli e senza un reddito come fanno? Questi disabili vengono costretti a dover rinunciare all’assistenza e a marcire in casa propria.

Elisabetta Gasparini

Non è giusto di sicuro. Noi siamo arrivati adesso ai ferri corti con la Azienda USL 16 di Padova perché ha ritardato i pagamenti dell’anno scorso di 15 mesi. Invece che partire a gennaio ed erogare con qualsiasi modalità, come definito dai singoli regolamenti, mensilmente, trimestralmente, semestralmente, ha pensato di dare risposte alle domande del 2007 alla fine dell’anno (a settembre). Quindi le persone non sapevano né se avevano il finanziamento, né a quanto ammontasse e, ovviamente, al 31 dicembre non avrebbero potuto presentare la rendicontazione di un anno perché non si erano esposte con delle assunzioni. I ritardi hanno creato dei problemi sia ai nuovi entrati, che non sono partiti con le nuove assunzioni, sia, ancora di più, alle persone che invece erano già dentro e che non avevano la certezza di poter pagare i loro dipendenti. Ci siamo attivati su due fronti. Uno di interlocuzione e di azione con le  Aziende Sanitarie, e l’altro di aiuto alle persone. Ci siamo anche rivolti alle banche etiche perché le persone con disabilità che avevano un finanziamento scritto, ma ritardato nei pagamenti, potessero avere un prestito. Siamo arrivati a dei livelli proprio inaccettabili. Quindi le difficoltà ci sono, altroché.

Intervento dal pubblico: la persona disabile non è un’azienda, quindi non può risolvere da sola certe situazioni, neanche quando dietro c’è una famiglia. Infatti questa spesso non è in condizione di affrontare l’assistenza di un parente disabile per tutta la vita di quest’ultimo. Quindi quando le Regioni fanno una Legge che prevede l’erogazione dei contributi devono garantire la continuità di finanziamento sia per il diritto del disabile, sia per il diritto del lavoratore. Non si dovrebbero permettere di dire che sono in ritardo con i pagamenti, perché i vari centri che sono convenzionati con le Aziende USL ricevono i finanziamenti regolarmente e hanno dei legali che li rappresentano. Una persona con disabilità in genere non ha questi strumenti di tutela, quindi quando attiva un progetto di Vita Indipendente e poi si vede bloccati i finanziamenti le viene negato un diritto. Per questo è necessario essere uniti nel rivendicare quel diritto senza vergognarsi e senza paura perché sia garantita la continuità e non la presa in giro prima e l’abbandono poi, mentre gli istituiti continuano ad essere finanziati. Io sono una mamma e sono molto arrabbiata coi politici.

Elisabetta Gasparini

Siamo assolutamente d’accordo. Adesso cedo la parola a Dino Barlaam che nel suo intervento parlerà anche dei quadri normativi.

 

Fonte: Atti del seminario “Volere volare. Vita Indipendente delle persone con disabilità” (Peccioli, 27 giugno 2009), contenuti nel volume “Volere volare. Vita indipendente delle persone con disabilità”, a cura di Simona Lancioni, Peccioli, Informare un’h, 2012.

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Ultimo aggiornamento il 24 Aprile 2013 da Simona