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Dora è tornata a casa, ma l’amministrazione di sostegno continua ad essere un istituto liberticida

C’è una svolta nella vicenda di cui ci siamo occupati nei giorni scorsi, quella di Dora, l’anziana signora fatta rinchiudere in una residenza sanitaria assistita dal suo amministratore di sostegno con l’inganno. Infatti, dietro autorizzazione del giudice tutelare, Dora è potuta tornare a casa. Ma l’amministratore di sostegno, in cui lei non ha più fiducia, è stato riconfermato nel suo ruolo, ed ha inserito il nome della donna in una lista d’attesa per un posto in una RSA. Nella sostanza rimangono inalterate tutte le storture che rendono l’amministrazione di sostengo un istituto liberticida.

In una giornata grigia, le onde di un mare agitato si infrangono sugli scogli (foto di Simona Lancioni).

Nei giorni scorsi abbiamo ospitato la storia di Dora, 80 anni, non autosufficiente, colpita da un ictus ischemico nell’estate del 2022, oggi interessata da un decadimento cognitivo, ma perfettamente in grado di decidere dove vuole vivere. Dora è stata fatta rinchiudere in una residenza sanitaria assistita (RSA) dal suo amministratore di sostegno (esterno alla famiglia) contro la sua volontà, pur in presenza di familiari disponibili ad occuparsi di lei, e di risorse sufficienti a garantirle una permanenza dignitosa in casa propria. La sua storia ce l’ha raccontata sua figlia, Anna (la cui testimonianza è disponibile a questo link). Dora, rinchiusa, si stava lasciando andare. «Voglio tornare a casa mia con Marina [la sua badante convivente, N.d.R.], le mie cose, i miei gatti, tutto», continuava a ripetere. E, comprendendo che le sue suppliche non stavano riscuotendo adeguata attenzione, ha maturato un’altra determinazione. «Voglio morire», era diventato lo straziante mantra negli ultimi giorni nell’RSA. In vista del pronunciamento del giudice tutelare, fissato per lo scorso 29 marzo, e temendo che lo stesso potesse deliberare di procrastinare l’istituzionalizzazione, Anna si è mobilitata rendendo pubblica la propria storia e segnalandola ai media, tanto che la vicenda ha assunto una rilevanza nazionale, coinvolgendo TV, radio e giornali (si veda, ad esempio, l’ampio servizio di Michele Farina, Dora, «l’americana» di Camaiore che si lascia morire in Rsa: «Fatemi tornare dalla badante e dal mio gatto Ignazio», pubblicato nel sito del «Corriere della Sera» il 28 marzo 2023; ma anche “Dora vuol tornare a casa”, ne “Il Caffè” di Massimo Gramellini del 29 marzo 2023). A ciò si aggiunga il supporto di ALIBES, la neocostituita Alleanza per la LIbertà di Scelta e il Bene-Essere psicoSociale, che ha tra i suoi obiettivi proprio la riforma dell’amministrazione di sostegno (se ne legga a questo link).

Il 29 marzo è arrivato, ed il giudice tutelare si è riservato di acquisire ulteriori elementi sulla vicenda, in particolare egli voleva assicurarsi che Dora disponesse anche in casa propria di tutta l’assistenza e di tutti i supporti necessari per gestire in modo sicuro la sua condizione. Dunque, con un provvedimento del 30 marzo 2023, egli ha finalmente disposto il ritorno di Dora al suo domicilio. Possiamo gioirne, com’è giusto che sia, l’emergenza, almeno per ora, è rientrata. Un problema, non l’unico, sta proprio in quell’ “almeno per ora”. Non si tratta infatti di una conquista definitiva perché né il giudice tutelare, né l’amministratore di sostegno sembrano aver colto le storture che stanno alla base dell’applicazione dell’istituto giuridico introdotto nel nostro Paese con la Legge 6/2004.

Quali storture? Vediamone alcune.

Dora ha sempre manifestato di voler stare a casa propria, ma dopo una degenza di circa una settimana in Ospedale a inizio febbraio 2023, dove era stata ricoverata per problemi legati all’età e alla sua condizione, e pur in presenza delle dichiarazioni dei medici dell’Ospedale stesso, secondo le quali la donna poteva proseguire le cure presso il proprio domicilio, l’amministratore di sostegno, senza confrontarsi con Dora e senza comunicarglielo, ha disposto che fosse portata in una RSA. La donna era stata invitata a salire sull’ambulanza per tornare a casa propria, ma invece che a casa, è stata portata, con l’inganno, in una RSA.

L’amministratore di sostegno deve aiutare la persona beneficiaria ad autodeterminarsi, dandole, appunto, il sostegno di cui ha bisogno per farlo. Un amministratore di sostegno che non ascolta la persona beneficiaria, e si sostituisce a lei nelle decisioni che riguardano la sua vita, è, a voler esser buoni, un incompetente. Parlo di incompetenza perché la Legge 6/2004 va letta alla luce della Convenzione ONU sui diritti delle persone con disabilità che, all’articolo 12, vieta tutti i meccanismi decisionali sostitutivi della persona con disabilità. Ma il giudice tutelare ha ritenuto di confermare l’amministratore di sostegno nel suo ruolo nonostante questo avesse disposto l’istituzionalizzazione di Dora sostituendosi a lei, ed in presenza di un suo chiaro dissenso.

Lo stesso giudice tutelare ha assecondato la proposta dell’amministratore di sostegno di istituzionalizzare Dora senza confrontarsi con lei, ed ha riconfermato lo stesso amministratore nel suo ruolo sebbene, comprensibilmente, sia venuto meno il rapporto di fiducia con la beneficiaria. Dunque possiamo concludere che anche il giudice non ha alcuna competenza riguardo alla Convenzione ONU. Questa interpretazione trova conferma anche nella circostanza che nelle 13 pagine del citato provvedimento del 30 marzo 2023, il giudice tutelare non faccia mai riferimento alla Convenzione, pur rappresentando questa il paradigma giuridico più elevato per la tutela dei diritti delle persone con disabilità (essendo stata ratificata dal nostro Paese con la Legge 18/2009). La non conoscenza della Convenzione fa sì che egli possa formulare deliberazioni che, privilegiando la volontà di terzi in luogo di quelle della persona beneficiaria, si rivelano liberticide e dannose per quest’ultima. Infatti, l’esperienza dell’istituzionalizzazione, pur cessata, è stata fortemente traumatica per Dora, che ancora ora continua ad essere spaventata e diffidente anche verso il personale coinvolto per supportarla nel suo ambiente.

La vicenda di Dora è temporaneamente rientrata, ma anche a fronte del suo forte dissenso riguardo all’istituzionalizzazione, il suo amministratore di sostegno ha comunque inserito il suo nominativo in una lista d’attesa per un posto in una RSA convenzionata. Per lui non hanno alcun valore né il dissenso di Dora, né il corposo insieme di norme, trattati nazionali ed internazionali, disposizioni, linee guida, buone pratiche che spingono per la deistituzionalizzazione delle persone con disabilità. Le “Linee guida sulla deistituzionalizzazione, anche in caso di emergenza”, approvate lo scorso settembre dal Comitato ONU per i diritti delle persone con disabilità, ad esempio, sono solo uno dei più recenti testi sul tema. Ma il giudice tutelare ha riconfermato l’attuale amministratore di sostegno nel suo ruolo.

La vicenda di Dora è temporaneamente rientrata, dicevamo, anche in ragione della pressione mediatica che Anna è riuscita a sollevare. E tuttavia chi non ha la forza di fare questo, finisce col subire le decisioni liberticide dei giudici tutelari più inclini ad assecondare la volontà degli amministratori di sostegno, senza disporre di strumenti di difesa, giacché anche la decisione di andare in causa contro queste due figure sarebbe soggetta alla loro preventiva approvazione. Sic! Dunque non è vero che, come pare qualcuno stia sostenendo, la vicenda di Dora dimorerebbe che la Legge 6/2004 ha in sé gli “anticorpi” per risanare le sue stesse degenerazioni, infatti è verosimile ritenere che senza la mobilitazione di Anna, e senza la pressione mediatica che ne è scaturita, questa storia non sarebbe cambiata di una virgola. Oltre a ciò, è bene non scordare neanche per un momento come non sia per niente certo che l’istituzionalizzazione di Dora sia stata scongiurata in modo definitivo.

Qualcuno/a potrebbe pensare che la questione interessi “solo” le persone anziane – ed anche se così fosse, non sarebbe comunque un buon motivo per ignorarla (non foss’altro per il fatto che tutti e tutte speriamo di invecchiare) –, ma le testimonianze che arrivano da ogni parte d’Italia documentano che il fenomeno riguarda anche moltissime persone non autosufficienti con disabilità non legate all’età. La Rete ARAS, Rete di solidarietà sociale tra alcune Associazioni di volontariato riguardo l’amministrazione di sostegno, ad esempio, sostiene che, su questa materia, solo presso Tribunale di Roma ci siano circa 22mila pratiche aperte (se ne legga a questo link). A questo link e a quest’altro ci sono invece diverse testimonianze di come l’amministrazione di sostegno venga usata dai servizi sanitari romani come arma per ricattare le famiglie delle persone con disabilità che lamentano disservizi. E questi sono solo alcuni dei casi che hanno acquistato maggiore visibilità.

Nel 2016, il già citato Comitato ONU sui diritti delle persone con disabilità, nelle sue Osservazioni Conclusive al primo rapporto dell’Italia sull’applicazione della Convenzione ONU, valutando l’applicazione dell’articolo 12 del trattato (in materia di Uguale riconoscimento davanti alla legge), ha raccomandato al nostro Paese «di abrogare tutte le leggi che permettono la sostituzione nella presa di decisioni da parte dei tutori legali, compreso il meccanismo dell’amministratore di sostegno, e di emanare e attuare provvedimenti per il sostegno alla presa di decisioni, compresa la formazione dei professionisti che operano nei sistemi giudiziario, sanitario e sociale» (punto 28). A questo punto risulta probabilmente superfluo dire che la raccomandazione in questione è, ad oggi, ampiamente disattesa.

Anche il Forum Europeo sulla Disabilità (EDF) ha frequentemente sottolineato i legami tra la presenza di regimi decisionali sostitutivi delle persone con disabilità e le diverse forme di violenza ai loro danni. Nel rapporto di ricerca intitolato “La sterilizzazione forzata delle persone con disabilità nell’Unione Europea” reso pubblico nel mese di settembre 2022 (e disponibile a questo link), ad esempio, l’EDF mette in luce il legame di questi regimi con la coercizione riproduttiva, e dedica a questo tema un intero paragrafo. Ovviamente la coercizione riproduttiva non riguarda gli anziani, ma le persone con disabilità – soprattutto donne – in età fertile.

Mi fermo qui con le storture, anche se in realtà ci sarebbe molto altro da dire.

Ho chiesto in più occasioni alle organizzazioni di persone con disabilità di attivarsi per chiedere, non dico l’abrogazione (anche se l’ipotesi non è affatto da scartare), ma quanto meno una modifica dell’istituto dell’amministrazione di sostegno, e tuttavia, al momento, non ho percezione che tale richiesta sia divenuta una priorità. Dunque torno a chiederlo, e non solo per l’incompatibilità dell’attuale impianto dell’istituto con la Convenzione ONU (che di per sé dovrebbe già essere un argomento dirimente), o per i richiami internazionali (che pure ci sono), ma anche, soprattutto, perché se solo su Roma abbiamo decine di migliaia di pratiche aperte, non abbiamo alcun elemento per ritenere che nel resto d’Italia la situazione sia migliore, anzi. Dunque lo ripeto: la disciplina dell’amministrazione di sostegno va cambiata con urgenza! ALIBES è già al lavoro, ma sarebbe importante che una causa del genere fosse sostenuta in modo trasversale.

Simona Lancioni
Responsabile di Informare un’H – Centro Gabriele e Lorenzo Giuntinelli di Peccioli (Pisa)

 

Vedi anche:

Amministrazione di sostegno, l’ennesima “storia sbagliata”, quella di Dora, «Informare un’h», 22 marzo 2023.

Amministrazione di sostegno, doveva essere un abito su misura… invece, «Informare un’h», 18 febbraio 2022.

Sezione del centro Informare un’h dedicata al tema della “Tutela giuridica”.

 

Ultimo aggiornamento il 12 Aprile 2023 da Simona