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Far emergere la violenza domestica verso le persone disabili

di Asya Bellia e Elena Wenk

Purtroppo accade ancora troppo spesso che ci si occupi delle violenze subite dalle persone con disabilità in àmbito domestico, solo quando si sono trasformate in casi di cronaca nera, ed è ormai troppo tardi. Eppure è la stessa impostazione familistica dell’assistenza che, rendendo le persone con gravi disabilità dipendenti dall’assistenza dei propri familiari, e questi ultimi obbligati ad erogarla, a favorire dinamiche conflittuali che, anche quando non portano a gesti estremi, possono comunque sfociare in maltrattamenti, abusi e violenze ai danni delle persone con disabilità. Di questo fenomeno sommerso, e sovente occultato da una rappresentazione idealizzata dei/delle caregiver, si stanno occupando Asya Bellia e Elena Wenk, due attiviste con disabilità, che hanno elaborato uno specifico questionario anonimo rivolto alle persone con disabilità per raccogliere le testimonianze di maltrattamenti e abusi posti in essere dai/dalle caregivers familiari. (S.L.)

La nascita di un progetto

di Asya Bellia

Una foglia ingiallita vola trasportata dal vento. Sullo sfondo una vegetazione fuori fuoco.

Il 3 dicembre in Italia è una giornata particolare. Infatti l’ONU ha stabilito che in questa data si celebri la “Giornata Internazionale delle Persone con Disabilità”, ma per come viene affrontata nel Bel Paese si direbbe si tratti della giornata internazionale dei caregivers delle persone con disabilità.

La confusione ha origine dal fatto che due temi completamente diversi sono spesso trattati nella stessa ricorrenza. Un tema è quello del riconoscimento della figura del caregiver familiare della persona con disabilità, l’altro è quello della Vita Indipendente. Vediamo di che si tratta.

La caregiver familiare, perché si tratta spesso di una donna, è una persona non disabile che ha un rapporto di parentela con una persona disabile e convive con la stessa. Può trattarsi di un genitore, un fratello o una sorella, un marito, una moglie o qualche altro parente. Questa figura fornisce alla persona disabile assistenza nelle attività della vita quotidiana quali: lavarsi, vestirsi, aiuto negli spostamenti (per esempio, con un sollevatore, oppure per andare a scuola o a lavoro), o nel gestire le proprie finanze. Il tipo di supporto fornito dalla caregiver familiare varia a seconda delle necessità del familiare disabile, ma egli o ella non riceve alcun compenso per queste prestazioni.

Il Movimento per la Vita Indipendente è nato a Berkeley, in California, negli anni ‘70, per poi diffondersi in tutto il mondo. Il principio di base pone al centro il diritto delle persone disabili alla propria autodeterminazione, che è sancito dall’articolo 19 della Convenzione ONU dei Diritti della Persone con Disabilità. La figura dell’assistente personale è fondamentale per garantire tale diritto. L’assistente personale è assunto (o assunta) con regolare contratto dalla persona disabile o, in certi casi, da chi la rappresenta, per fornirle supporto nelle attività della vita quotidiana in cui necessita di assistenza. L’assistente personale, quindi, riceve una compensazione monetaria per il lavoro che svolge. L’accesso ai fondi pubblici per la Vita Indipendente consente alle persone disabili, laddove i fondi siano sufficienti, di scegliere dove, come e con chi vivere, liberandole dalla schiavitù familiare e svincolando eventuali familiari da qualsivoglia obbligo di assistenza.

La Vita Indipendente non è, né può essere un obbligo. Al contrario, ogni persona disabile dovrebbe essere libera di scegliere tra la figura del caregiver familiare e l’assistenza personale autogestita (o di combinare questi due tipi di assistenza tra loro e/o con altre forme di supporto, a seconda delle sue necessità). È importante sottolineare, tuttavia, che soprattutto l’assistenza personale autogestita consente alle persone disabili di maturare, diventando persone adulte realmente indipendenti dalla famiglia. Infatti, i caregivers familiari sono completamente abbandonati a sé stessi e potrebbero essere vittime di pregiudizi e stereotipi sulla disabilità, comportamenti impliciti o espliciti ancora radicati nella collettività. Pertanto, in alcuni casi, la segregazione delle persone disabili inizia in famiglia. Questo avviene nelle circostanze in cui i caregivers familiari sono convinti, per esempio, che la persona disabile che assistono non sia in grado di autodeterminarsi e/o sia “troppo grave” per essere inclusa nella società. Inoltre, affidarsi esclusivamente al supporto di caregivers familiari pone le persone disabili in una situazione di estrema vulnerabilità. Infatti, se il caregiver familiare di una persona disabile è costretto a fornire assistenza continua senza poter riposare o si ammala, questa potrebbe trovarsi costretta a lasciare la propria abitazione ed essere trasferita in una RSD [residenza sanitaria per persone disabili, N.d.R.] contro la sua volontà.

Il problema è che i fondi per la Vita Indipendente sono spesso insufficienti, e in alcune regioni addirittura inesistenti. Inoltre, spesso vengono concessi solo a persone disabili che abbiano raggiunto la maggiore età. Questo costringe le persone disabili minorenni ad affidarsi al supporto di caregivers familiari, che sono a loro volta obbligati a fornire assistenza gratuitamente.

Tuttavia, il fatto che l’assistenza del caregiver familiare non sia riconosciuta in termini monetari non significa che essa non abbia un costo per la persona disabile che la riceve. Si pensi, ad esempio, ad un’adolescente disabile che vive in famiglia ed è assistita dai genitori. La chiameremo Ada. Ada ha 16 anni, ed ha bisogno dell’assistenza dei genitori per alzarsi, lavarsi, vestirsi ed andare in giro. Cosa succede se Ada vuole fare sesso? E se vuole prendersi la prima sbronza? Peggio ancora, cosa succede se Ada, in un momento di ribellione, litiga con la madre? Non solo non potrà andarsene di casa come fanno tante adolescenti non disabili, ma la madre in casi limite di conflittualità o stress emotivo potrebbe rifiutarsi di lavarle i capelli, o di aiutarla ad andare in bagno. Questi atteggiamenti, per quanto estremi, sono in realtà più frequenti di quanto si possa immaginare.

Essere una persona disabile significa pagare il supporto di eventuali caregivers familiari con la rinuncia ad essere autenticamente se stessi, perché per le proprie necessità si dipende dalla buona volontà altrui. Essere caregiver di una persona disabile significa ritrovarsi da sola su un piedistallo con su scritto “super mamma” o “eroina”, senza nessun tipo di supporto né dallo Stato, né dalla società in generale. L’isolamento sociale e la fatica fisica associati all’assistenza di un familiare disabile ventiquattro ore su ventiquattro, sette giorni su sette, sottopongono i caregivers familiari ad una pressione psicofisica enorme, che può addirittura sfociare in un burnout [termine inglese che designa una sindrome derivante da uno stress cronico associato al contesto lavorativo che la persona non riesce a gestire, N.d.R.]. Di conseguenza, in assenza di sostegno da parte dello Stato e delle Istituzioni, alcuni caregivers familiari potrebbero riversare inconsapevolmente la propria disperazione sulla persona disabile che assistono. Se questo avviene, la giustificata frustrazione del caregiver di una persona disabile può tradursi in comportamenti ingiustificabili quali abusi, maltrattamenti o negligenza nei confronti del familiare disabile.

Purtroppo, del tema degli abusi subiti dalle persone disabili da parte dei loro caregivers non si parla finché non è troppo tardi. I fatti di cronaca evidenziano ripetutamente casi di omicidio e suicidio di persone disabili in famiglia. Da un tentativo di rilevazione delle vicende in questione, risulta che dal 2011 ad oggi, in Italia, ci sono stati 50 casi di omicidio (tentati o riusciti) di persone disabili da parte dei propri caregivers familiari [si veda, a tal proposito il seguente approfondimento, N.d.R.].

È importante però sottolineare che la stragrande maggioranza dei caregivers familiari amano i propri familiari disabili, e si battono ogni giorno al loro fianco per garantire loro una vita dignitosa. Pertanto non si tratta di colpevolizzare i caregivers familiari di persone disabili come “categoria”, ma di vederli come esseri umani ordinari che hanno bisogno sia di riconoscimento giuridico, sia di supporto da parte delle Istituzioni. La narrazione secondo cui i caregivers familiari sarebbero “eroi” viene strumentalizzata per scaricare su di essi la responsabilità dell’assistenza ai congiunti con disabilità. Condizione che in molti casi costringe un membro non disabile della famiglia (spesso una donna) a rinunciare al lavoro remunerato per assistere il familiare disabile, impoverendo l’intero nucleo familiare e alienando sé stessa.

Da queste considerazioni è nata l’idea di un questionario anonimo che raccolga le testimonianze di abusi, maltrattamenti e negligenza nei confronti di persone disabili da parte dei propri familiari. Occorre rompere il silenzio su questo tema, poiché attinente al benessere delle persone disabili. In quanto tali, abbiamo diritto non solo di sopravvivere, ma ad avere una vita in cui sentirci al sicuro, che sia dignitosa, e da vivere appieno. Perché nella vita delle persone disabili, come in quella delle persone non disabili, c’è il dolore, ma c’è anche la gioia.

Ho condiviso la mia idea in merito ad una raccolta di testimonianze sul tema degli abusi da parte di caregivers familiari su un gruppo Facebook chiamato “Tè, Biscotti e Abilismo” [promosso da Witty Wheels di Elena e Maria Chiara Paolini, due attiviste con disabilità, N.d.R.]. L’idea ha riscosso molto successo, ed Elena Wenk ha deciso di collaborare con me al progetto. I risultati della prima raccolta di testimonianze anonime sono consultabili a questo link.

Dopo esserci consultate con altre persone disabili, Elena Wenk ed io abbiamo deciso di avviare una nuova raccolta di testimonianze anonime sul tema di abusi e maltrattamenti verso persone disabili da parte dei/delle caregivers. Prima della pubblicazione ufficiale del questionario, lo stesso è stato sottoposto ad un collettivo di persone disabili (tra cui Ginevra Caterino, che ha dato un importante contributo nella formulazione delle domande sugli abusi ed i maltrattamenti).

Pertanto, chi volesse offrire la propria testimonianza anonima, può farlo compilando il questionario disponibile a questo link.

Contribuire a far emergere un fenomeno sottovalutato

di Elena Wenk

Mi sono proposta di aiutare Asya a creare un questionario sugli abusi da parte dei caregivers familiari perché penso che questo sia un tema molto sottovalutato e sia importantissimo parlarne. Queste violenze, purtroppo, sono troppo spesso sommerse a causa del fatto che la persona disabile, il più delle volte, dipende per la sua sopravvivenza fisica dall’abusante e non ha i mezzi per rendersi indipendente, allontanarsi e denunciare. Inoltre penso che i casi più gravi di violenza attuati dai caregivers, quali gli omicidi, siano solo la punta dell’iceberg di tutti questi abusi sommersi perpetrati nel tempo. Ritengo che una grossa responsabilità di questi crimini, l’abbiano i servizi sociali e gli organi legislativi che non garantiscono il diritto alla Vita Indipendente per tutte le persone con disabilità, stanziando i finanziamenti adeguati. Purtroppo la disciplina sulla Vita Indipendente non è uguale in tutte le Regioni e ci sono quindi molte differenze tra una persona con disabilità che è residente in Sicilia, piuttosto che una residente in Piemonte o in un’altra Regione. Ad esempio, a differenza della Toscana (dove vive Asya), conosco molte persone già maggiorenni, residenti in Lombardia, che hanno bisogno di assistenza 24 ore su 24 e vorrebbero poter accedere ai finanziamenti per un progetto di Vita Indipendente, ma non viene loro riconosciuto questo diritto solo perché vivono con i genitori, magari anche anziani. Questi casi espongono la persona con disabilità ad un rischio molto elevato di subire violenza, perché un genitore non ha più né le forze, né le capacità mentali di occuparsi di un figlio con disabilità, ed un figlio, seppur disabile, avrebbe diritto di slegarsi dai genitori e farsi la propria vita come tutti.

 

Vedi anche:

Pagina facebook con i risultati della prima raccolta di testimonianze anonime sul tema di abusi e maltrattamenti verso persone disabili da parte dei/delle caregivers.

Questionario anonimo per la raccolta di testimonianze di maltrattamenti e abusi di persone disabili da parte dei/delle caregivers familiari.

Omicidi-suicidi: proposta di regolamentazione delle comunicazioni pubbliche, «Informare un’h», 20 febbraio 2023.

Sezione del centro Informare un’h dedicata al tema “La violenza nei confronti delle donne con disabilità”.

 

Data di creazione: 10 Aprile 2023

Ultimo aggiornamento il 11 Aprile 2023 da Simona