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Il mio corpo è mio. Diritto all’autonomia e all’autodeterminazione

Solo il 55% delle ragazze e delle donne ha la possibilità di prendere decisioni libere in materia assistenza sanitaria, contraccezione e sessualità. È quanto emerge dal Rapporto sullo stato della popolazione nel mondo 2021 pubblicato dall’UNFPA (United Nations Population Fund), e intitolato “Il mio corpo è mio. Diritto all’autonomia e all’autodeterminazione”. Rilanciato in Italia dall’AIDOS (Associazione Italiana Donne per lo Sviluppo), esso contiene anche numerosi riferimenti alla condizione delle ragazze e delle donne con disabilità.

 

La copertina del Rapporto “Il mio corpo è mio. Diritto all’autonomia e all’autodeterminazione” dell’UNFPA. Su sfondo nero risaltano la scritta bianca del titolo in inglese dell’opera ed una sagoma di un volto femminile realizzata con tante scritte bianche multilingue.

Nei giorni scorsi l’Associazione Italiana Donne per lo Sviluppo (AIDOS) ha rilanciato in Italia il Rapporto sullo stato della popolazione nel mondo 2021 dell’United Nations Population Fund (UNFPA – Fondo delle Nazioni Unite per la Popolazione) intitolato “Il mio corpo è mio. Diritto all’autonomia e all’autodeterminazione” (in lingua inglese).

«Il mio corpo è mio. Quante donne e ragazze possono fare liberamente questa affermazione? Ognuno di noi ha diritto all’autonomia fisica e dovrebbe quindi avere il potere di fare delle scelte sul proprio corpo e vedere quelle scelte supportate da tutti/e coloro che ci circondano, e dalle nostre società in generale. Tuttavia, a milioni di persone viene negato il diritto di dire no al sesso. Oppure sì all’individuazione della persona con cui sposarsi, o alla scelta del momento giusto per avere un figlio. A molte persone viene negato questo diritto a causa della razza, del sesso, dell’orientamento sessuale, dell’età o delle abilità», spiega Natalia Kanem, sottosegretaria generale e direttrice esecutiva dell’UNFPA (Agenzia per la salute sessuale e riproduttiva delle Nazioni Unite), nella prefazione dell’opera.

Mostrando le innumerevoli e gravi le violazioni dell’autonomia di decisione sui corpi delle donne, violazioni che si sono aggravate durante la pandemia di Covid-19, il Rapporto intende rivendicare il diritto di ciascun individuo di prendere decisioni sul proprio corpo e di godere della libertà di compiere scelte consapevoli. Nella lotta alle discriminazioni basata sul genere, anche gli uomini devono diventare alleati, impegnandosi ad allontanarsi dai modelli di privilegio e dominio che minano profondamente l’autonomia corporea e orientandosi verso modi di vivere più equi e armoniosi. La compiacenza è uguale alla complicità. Quando le donne e le ragazze possono fare le scelte fondamentali sul proprio corpo, il beneficio che ne consegue non deve essere letto solo in termini di autonomia, infatti esso comporta progressi anche nella salute e nell’istruzione, nel reddito e nella sicurezza. Tutti questi benefici si sommano contribuendo a realizzare maggiore giustizia e benessere umano, a vantaggio di tutti e tutte noi.

Poiché l’UNFPA ha posto l’emancipazione e l’autonomia delle donne alla base dell’azione globale per il progresso economico e sociale sostenibile, nel perseguire questo obbiettivo lavora al fianco di altri innumerevoli soggetti che sono spesso esclusi dal prendere decisioni autonome sul proprio corpo: persone con diversi orientamenti sessuali e identità di genere, persone con disabilità e minoranze etniche e razziali.

Il Rapporto dell’UNFPA è il frutto di un’indagine svolta in 57 Paesi, la maggior parte dei quali si trova nell’Africa subsahariana (l’Italia non è tra questi). Ebbene, anche se essi costituiscono all’incirca solo un quarto dei Paesi del mondo, tuttavia i dati raccolti delineano un quadro in cui solo il 55% delle ragazze e delle donne ha la possibilità di prendere autonomamente decisioni in tutte e tre le dimensioni dell’autonomia corporea indagate nel Rapporto: decisioni in materia assistenza sanitaria, contraccezione e sessualità. Ciò significa che solo poco più di una donna e una ragazza su due ha il potere di decidere se e quando cercare assistenza sanitaria, compresi i servizi per la salute sessuale e riproduttiva, se usare la contraccezione, e se e quando fare sesso con il proprio partner o marito. Dai dati emerge anche che in media le donne godono solo del 75% dei diritti degli uomini. Dei circa 40 milioni di persone vittime di qualche forma di schiavitù moderna (lavoro forzato, schiavitù per debiti, matrimonio forzato, traffico di esseri umani), più di 7 su 10 sono donne. Le vittime sono spesso le più vulnerabili delle nostre società, quelle che soffrono di molteplici forme di discriminazione: donne, bambini, popolazioni indigene, persone di origine africana e persone con disabilità. 43 dei Paesi coinvolti nell’indagine non hanno una legge sullo stupro perpetrato dal partner. 20 Paesi o territori hanno una legge sul “matrimonio riparatore” in virtù della quale le giovani donne sono costrette a sposare il proprio stupratore, per proteggere il loro onore e quello delle famiglie (cosa che, oltretutto, ha come effetto che gli stupratori rimangano impuniti). Più di 30 Paesi limitano il diritto delle donne a muoversi liberamente fuori dalle proprie case.

Pratiche dannose come le mutilazioni genitali femminili, i matrimoni precoci e forzati, gli stupri anche da parte del partner e le gravidanze indesiderate sono alcune delle conseguenze della disuguaglianza di genere e della mancanza di autodeterminazione e autonomia sul proprio corpo. Stando al Rapporto sono più di 200 milioni le ragazze e le donne che hanno subito mutilazioni genitali femminili, e 4 milioni sono quelle che, ogni anno, rischiano di subire questa pratica. Attualmente ben 650 milioni di donne nel mondo risultano sposate prima dei 18 anni (matrimonio precoce), e ogni anno sono 12 milioni le ragazze che si sposano prima di diventare adulte. Si prevede che entro il 2030, in assenza di interventi ad alto impatto, i matrimoni precoci potrebbero arrivare ad essere fino a 120 milioni in più.
Anche la pratica della dote si configura come una forma di violenza. Solo in India si registrano circa 8.000 morti laddove alle famiglie non venga pagata la dote prevista. Si stima che ogni anno vi siano circa 5000 delitti d’onore, la maggior parte dei quali in Medio Oriente e Asia meridionale. Secondo l’Organizzazione mondiale della sanità ogni giorno 137 donne vengono uccise dal partner o da un membro della propria famiglia. Il fenomeno della violenza di genere si è aggravato con le restrizioni imposte per contenere la pandemia di Covid-19, tanto che a tal proposito di parla di “pandemia ombra”.

Decine di migliaia di ragazze adolescenti muoiono ogni anno per complicazioni legate alla gravidanza e al parto. Tali complicazioni costituiscono la principale causa di morte tra le giovani di età compresa tra i 15 e i 19 anni. Il 99% delle morti legate alla gravidanza o al parto nelle donne tra i 15 e i 49 anni riguardano Paesi a basso e medio reddito. Ogni anno, tra le ragazze di età compresa tra i 15 ei 19 anni, si verificano 3,9 milioni di aborti clandestini che contribuiscono alla mortalità e alla morbilità materna. Per contrastare questi fenomeni è fondamentale investire in istruzione: le donne e le ragazze istruite hanno maggiori possibilità di esercitare il consenso, prendere decisioni sulla contraccezione e sull’assistenza sanitaria. È proprio in relazione all’istruzione che si regista qualche miglioramento: dal 1994 l’uso della contraccezione moderna è più che raddoppiato, anche se nel 2019 le donne con esigenze di contraccezione non soddisfatte erano 217 milioni.

Il rapporto contiene anche numerosi riferimenti alla condizione delle ragazze e delle donne con disabilità. Vediamone qualcuno. Ad esempio, risulta che queste esse hanno maggiori probabilità di subire violenza rispetto ai loro coetanei con disabilità o alle ragazze e alle giovani donne senza disabilità. Le ragazze e i ragazzi con disabilità hanno quasi tre volte più probabilità di subire violenze sessuali, e, tra essi, le ragazze corrono un rischio maggiore. Negli Stati Uniti, altro esempio, il Dipartimento di Giustizia degli Stati Uniti ha rilevato che le ragazze e le donne con disabilità subiscono crimini violenti, tra cui violenza sessuale e stupro, ad un tasso di 32,8 donne su 1.000 ogni anno, rispetto a 11,4 donne su 1.000 per le donne che non hanno disabilità. Sempre negli Stati Uniti, un gruppo di attivisti/e, Disabled World, ha riferito che circa l’80% delle donne e il 30% degli uomini con disabilità intellettiva sono costretti in qualche momento della loro vita a una qualche forma di sesso non consensuale, ma solo il 3% di questi sono stati segnalati come abusi sessuali che coinvolgono persone con disabilità dello sviluppo. Le donne con disabilità hanno molte più probabilità di fare esperienza di rapporti sessuali indesiderati o di stupro coniugale da parte di un partner intimo. Uno studio ha rilevato che il 54% dei ragazzi sordi ha subito abusi sessuali rispetto al 10% dei ragazzi udenti. Poiché le società non forniscono alle persone con disabilità i mezzi per controllare se, quando o con chi fare sesso, e se, quando e con che frequenza rimanere incinta, negano a un gran numero di persone il diritto all’autonomia corporea. Interessante anche la testimonianza di Lizzie Kiama, attivista con disabilità del Kenya, che racconta di «donne che preferirebbero partorire a casa piuttosto che affrontare infermiere o ostetriche che si chiedono come mai, nella loro condizione di disabilità, avrebbero avuto figli o sarebbero rimaste incinte». Le donne e le ragazze con disabilità affrontano alti tassi di violenza di genere in Kenya. Ma troppo spesso, in risposta, la loro autonomia corporea viene ulteriormente violata, ha detto Kiama. «In alcuni casi si trovano ragazze con disabilità le cui famiglie colludono con professionisti medici per sterilizzarle come mezzo per ‘proteggerle’, perché sono costantemente vittime di violenza sessuale”», ha spiegato ancora, osservando anche che «non succede nulla agli autori». Situazioni tristemente note a chi si occupa di disabilità al femminile, come conferma la stessa Kiama: «la società, in generale, ha connotato le persone con disabilità, e le donne in particolare, come asessuali … cose semplici come possedere la capacità giuridica, l’autonomia corporea, il diritto di prendere decisioni non sono considerate la norma». Stereotipi e pregiudizi che, ormai lo sappiamo bene, non riguardano solo il Kenya.

Simona Lancioni
Responsabile del centro Informare un’h di Peccioli (Pisa).

 

Vedi anche:

Il Rapporto sullo stato della popolazione nel mondo 2021, Il mio corpo è mio. Diritto all’autonomia e all’autodeterminazione, UNFPA – United Nations Population Fund, 2021 (in lingua inglese).

UNFPA – United Nations Population Fund.

AIDOS – Associazione Italiana Donne per lo Sviluppo.

Sezione del centro Informare un’h dedicata al tema “Donne con disabilità: diritti sessuali e riproduttivi”.

Sezione del centro Informare un’h dedicata al tema “La violenza nei confronti delle donne con disabilità”.

Sezione del centro Informare un’h dedicata al tema “Donne con disabilità”.

 

Ultimo aggiornamento il 20 Aprile 2021 da Simona