Menu Chiudi

Il questionario sui caregiver non rileva le responsabilità delle Istituzioni sulla loro condizione

Elaborate negli anni ’80, quando il modello medico di disabilità era l’unico disponibile, tutte le affermazioni contenute nel questionario di rilevazione rivolto ai/alle caregiver familiari dal Comune di Roma e da quello di Nettuno – di cui si discute in questi giorni –, esprimono una visione tragica della disabilità, ed anche l’idea che essa sia una questione individuale conseguente alla menomazione. Inoltre esse non rilevano la responsabilità delle Istituzioni nel non aver ancora provveduto a garantire misure di tutela per il caregiver familiare, e nel non garantire servizi di assistenza adeguata e sufficiente alle persone con disabilità.

Particolare de “Il pensatore”, scultura in bronzo dell’artista francese Auguste Rodin conservata nel museo che porta il nome del suo creatore, a Parigi. Essa raffigura un bell’uomo nudo seduto che poggia il viso su una mano nell’atto di pensare.

Si compone di due scale di valutazione il questionario di rilevazione utilizzato dal Comune di Roma e da quello di Nettuno, anch’esso della Città Metropolitana di Roma, rivolto ai/alle caregiver – ovvero le persone che assistono in modo continuativo, significativo e gratuito i familiari con disabilità grave o le persone anziane non autosufficienti –, e che, in seguito a forti proteste, è stato sospeso. Nello specifico il questionario indaga il livello di stress accumulato dai/dalle caregiver in relazione all’attività di assistenza. A tal proposito i media hanno utilizzato espressioni come “domande choc” («Today.it»), “domande irricevibili” («Next»), “questionario della vergogna” («La Notizia»). Ad insorgere sono state soprattutto le organizzazioni di persone con disabilità che hanno trovato offensive le modalità con cui sono state poste alcune domande. La Federazione Italiana per il Superamento dell’handicap (FISH), ad esempio, parla di “questionari dei pregiudizi”. Queste alcune delle domande incriminate: «Da zero a quattro quanto ti vergogni del tuo familiare?», «Quanto risentimento provi nei suoi confronti?», «Senti che ti stai perdendo vita?» Poiché la versione del questionario divulgata è in formato immagine, e dunque è inaccessibile ai software comunemente utilizzati da persone con disabilità visive, ne descrivo i contenuti in calce*.

Dopo le proteste l’Amministrazione comunale di Nettuno ha chiarito che «il questionario sui caregiver inserito nelle linee guida regionali ed utilizzato da altri Comuni della regione nonché in altre regioni d’Italia, è stato recepito dal distretto socio sanitario territoriale prima di essere sottoposto alle famiglie. Il questionario è uno strumento scientifico indicato da una delibera di giunta regionale tra i possibili strumenti da utilizzare da parte dei Comuni» per cogliere, tramite un’autovalutazione, la percezione soggettiva dello stress dei/delle caregiver familiari. «L’obiettivo – spiegano dal Comune – è quello di individuare idonee misure di sostegno per le famiglie interessate».

Sulla questione ha preso parola anche il Gruppo Caregiver familiari comma 255, secondo il quale «lo scandalo non è la somministrazione del questionario, né i quesiti che riporta, né il linguaggio: se qualcuno ritiene un’offesa parlare di sentimenti come disagio o vergogna nella condizione di caregiver familiari è ben lontano dal nostro mondo e dalla nostra condizione. Una vita obbligata e non scelta, come quella del caregiver familiare, vincolata in ogni momento della giornata, comporta nel proprio percorso anche il riconoscimento ed il superamento di questi sentimenti naturalmente umani, imposti dalla nostra società performante e per nulla attenta all’altro, né inclusiva». Secondo il Gruppo il vero motivo per cui bisognerebbe vergognarsi è il fatto che esiste un esercito di caregiver familiari – silenzioso, disilluso e allo stremo delle forzeche ancora attendono di veder riconosciuta la loro dignità di cittadini e cittadine. Sul quotidiano «Domani», anche la giornalista Selvaggia Luccarelli, anch’ella caregiver familiare con una madre in una residenza sanitaria assistita e un padre di 88 anni gravemente malato che vive in casa con lei, prende una posizione fuori dal coro, ed osserva che «Quelle domande sono lucide e modellate sull’esperienza e l’ascolto, l’indignazione di questi giorni è invece il risultato di scarsa conoscenza del ruolo del caregiver e del fardello che porta sulle spalle. Non erano brutali le domande del questionario, è brutale il voler rimuovere con la retorica dell’assistenza come missione, del sacrificio come slancio appagante, della malattia come benedizione una verità inconfutabile: assistere quotidianamente una persona non autosufficiente logora e scarnifica, divora tempo per sé stessi, inasprisce i rapporti con gli altri familiari, fa sentire inadeguati e onnipotenti, martiri e assassini in un’alternanza che destabilizza, allontana il futuro e sfianca, in un lotta intestina, perenne, tra l’amore e il risentimento».

Per farsi un’idea il più oggettiva possibile della vicenda è bene chiarire che, come già accennato, il questionario proposto dai Comuni impiega due scale di misurazione prodotte in ambito geriatrico nel 1980 e nel 1989, ben prima che, nel 2001, fosse approvata la Classificazione Internazionale del Funzionamento, della Disabilità e della Salute (ICF) e che, nel 2006, fosse promulgata la Convenzione ONU sui diritti delle persone con disabilità (ratificata dall’Italia con la Legge 18/2009), ovvero i due strumenti che hanno sancito il superamento del modello medico di disabilità e introdotto il modello bio-psico-sociale. Una questione tutt’altro che secondaria visto che il modello medico considera la disabilità come una conseguenza diretta della menomazione, mentre per il secondo la disabilità scaturisce dall’interazione tra durature menomazioni (fisiche, mentali, intellettuali o sensoriali) e le barriere di diversa natura che possono ostacolare la piena ed effettiva partecipazione alla società delle persone con disabilità in condizione di uguaglianza con gli altri cittadini e cittadine. Insomma, la disabilità ha cessato di essere una faccenda individuale e privata, per divenire responsabilità delle società che nel loro costituirsi ed organizzarsi non hanno considerato la presenza delle persone che ne sono interessate.

Nello specifico le scale di misurazione utilizzate nel questionario sono il Caregiver Burden Inventory (CBI – letteralmente “Inventario del carico del caregiver”) di Mark Novak e Carol Guest del 1989, e il Zarit Burden Inventory (ZBI – “Inventario del carico di Zarit”), elaborato da Steven H. Zarit, Karen E. Reever, Julie Bach-Peterson nel 1980.

Elaborate negli anni ’80, quando il modello medico di disabilità era l’unico disponibile, tutte le affermazioni contenute nel questionario esprimono una visione tragica della disabilità, ed anche l’idea che essa sia una questione individuale conseguente alla menomazione. Una visione abilista, diremmo oggi, sebbene non sia corretto valutare le cose del passato con gli strumenti dell’epoca attuale. Il dissenso che il questionario ha suscitato può essere inteso come l’incapacità di ascoltare le reali esigenze e le sofferenze del caregiver? Che i/le caregiver siano inascoltati, che versino spesso in condizioni drammatiche, che non abbiano tutele giuridiche, che anche il processo di riconoscimento della loro figura si trascini da anni senza particolari progressi, è purtroppo la dolorosa realtà. Tuttavia, quello che non sembra sufficientemente chiaro a chi quelle domande le ha accolte con favore è che esse, proprio perché ispirate dal modello medico, non vanno nella direzione del riconoscimento dei diritti del caregiver. Tanto per essere ancora più chiara: nessun quesito presente nei questionari rileva la responsabilità delle Istituzioni nel non aver ancora provveduto a garantire misure di tutela per il caregiver familiare, e nel non garantire servizi di assistenza adeguata e sufficiente alle persone con disabilità. In tutti i quesiti la persona con disabilità è presentata come un peso per chi si prende cura di lei, e non come un soggetto i cui diritti umani sono costantemente violati da uno Stato assente. Quella formulazione non fa altro che rafforzare lo stigma nei confronti delle persone con disabilità e, per assimilazione, anche di chi si prende cura di loro.

Un errore simile si sarebbe potuto evitare coinvolgendo le Associazioni e i Gruppi di persone disabili e di caregiver. Come giustamente osserva Marco Rasconi, presidente della UILDM Nazionale (Unione Italiana Lotta alla Distrofia Muscolare) su «Vita»: «Perché un’Amministrazione nel 2022 deve atteggiarsi a pioniera, facendo da sola un questionario su questi temi, senza coinvolgere le nostre realtà? Dopo tutti questi anni si può apprezzare maggiormente il fatto che comunque c’è stato un segnale di attenzione ad un argomento così delicato: ma se il risultato è goffo, io ho il dovere di dire che questa cosa è stata fatta male e con almeno dieci anni di ritardo rispetto al linguaggio e alla concezione della disabilità. Coinvolgeteci prima, l’appello è sempre questo. Perché siamo anche stanchi di fare quelli che, a cose fatte, sono costretti a dire che le cose non vanno bene: ci costringete a diventare antipatici, a passare per quelli a cui non va mai bene niente. Non è così. La verità è che abbiamo competenze, esperienza, una riflessione lunga anni… e le vogliamo mettere a disposizione perché insieme possiamo fare le cose bene sin da subito, in modo che sia “buona la prima”».

Trovare modi e luoghi nei quali i/le caregiver, fuori da ogni retorica ed in contesti non giudicanti, possano esprimere liberamente le proprie emozioni e i propri sentimenti, le difficoltà e le gratificazioni (ci sono anche queste), dovrebbe essere una priorità. È però altrettanto importante che in questa narrazione i diritti dei/delle caregiver non siano presentati in contrapposizione a quelli delle persone con disabilità. Il “problema” non sono le esigenze di cura delle persone con disabilità (il questionario ci spinge a pensare questo), ma la mancanza di politiche pubbliche volte a tutelare sia i diritti di queste ultime che quelli dei/delle caregiver.

Simona Lancioni
Responsabile di Informare un’h – centro Gabriele e Lorenzo Giuntinelli di Peccioli (PI)

 

* Riporto di seguito i contenuti del questionario utilizzato dal Comune di Roma e da quello di Nettuno, anch’esso della Città Metropolitana di Roma, rivolto ai/alle caregiver familiari che prestano assistenza ad un/a congiunto/a con disabilità.

È specificato che una delle scale utilizzate è il Caregiver Burden Inventory (CBI – letteralmente “Inventario del carico del caregiver”) di Mark Novak e Carol Guest, (The Gerontologist, volume 29, numero 6, dicembre 1989, pagine 798–803). La scala è presentata come «uno strumento di valutazione del carico assistenziale, in grado di misurarne l’aspetto multidimensionale, elaborato per i caregiver di pazienti affetti da malattia di Alzheimer e demenze correlate. È uno strumento di self-report [autovalutazione, N.d.R.], compilato dal caregiver principale, ossia il familiare o l’operatore che maggiormente sostiene il carico dell’assistenza del malato. Al caregiver è richiesto di rispondere barrando la casella che più si avvicina alla sua condizione e impressione personale. È uno strumento di rapida compilazione e di semplice comprensione».

Quindi è fornita la seguente istruzione: “Le domande si riferiscono a Lei che assiste un suo congiunto malato; risponda segnando con una croce la casella che più si avvicina alla sua condizione o alla sua personale impressione”.

Ai diversi quesiti il/la caregiver deve rispondere con una valutazione da 0 a 4 dove 0 equivale a “per nulla”, 1 a “un poco”, 2 a “moderatamente”, 3 a “parecchio” e 4 a “molto”. La scala è suddivisa in 5 sezioni: una misura il tempo richiesto dall’assistenza e descrive il carico associato alla restrizione di tempo per il/la caregiver (Item 1-5); la seconda misura il “carico evolutivo” inteso come la percezione  del/la caregiver di sentirsi tagliato fuori rispetto alle aspettative e alle opportunità dei propri coetanei (item 6-10); la terza sezione misura il “carico fisico” e descrive le sensazioni di fatica cronica e i problemi di salute somatica (item 11-14); la quarta misura il “carico sociale” e descrive la percezione di un conflitto di ruolo (item 15-19); infine, la quinta sezione misura il “carico emotivo”, ovvero i sentimenti verso il paziente (così è nominata nel testo la persona con disabilità) «che possono essere indotti da comportamenti imprevedibili e bizzarri» (item 20-24).

Queste invece sono le affermazioni (item) sottoposte a valutazione:

Tempo assistenza
1 Il mio familiare necessita del mio aiuto per svolgere molte delle abituali attività quotidiane
2 Il mio familiare è dipendente da me
3 Devo vigilarlo costantemente
4 Devo assisterlo anche per molte delle più semplici attività quotidiane (vestirlo, lavarlo, uso dei servizi igienici)
5 Non riesco ad avere un minuto di libertà dai miei compiti di assistenza

Carico evolutivo
6 Sento che mi sto perdendo vita
7 Desidererei poter fuggire da questa situazione
8 La mia vita sociale ne ha risentito
9 Mi sento emotivamente svuotato a causa del mio ruolo di assistente
10 Mi sarei aspettato qualcosa di diverso a questo punto dalla mia vita

Carico fisico
11 Non riesco a dormire e sufficienza
12 La mia salute ne ha risentito
13 Il compito di assisterlo mi ha resa più fragile di salute
14 Sono fisicamente stanca

Carico sociale
15 Non vado d’accordo con gli altri membri della famiglia come di consueto
16 I miei sforzi non sono considerati dagli altri familiari
17 Ho avuto problemi con il coniuge
18 Sul lavoro non rendo come di consueto
19 Provo risentimento verso dei miei familiari che potrebbero darmi una mano ma non lo fanno

Carico emotivo
20 Mi sento in imbarazzo a causa del comportamento del mio familiare
21 Mi vergogno di lui/lei
22 Provo risentimento nei suoi confronti
23 Non mi sento a mio agio quando ho amici a casa
24 Mi arrabbio per le mie reazioni nei suoi confronti

Oltre al CBI è presente anche un’altra scala, il Zarit Burden Inventory (ZBI– “Inventario del carico di Zarit”), elaborata da Steven H. Zarit, Karen E. Reever, Julie Bach-Peterson (The Gerontologist, volume 20, numero 6, dicembre 1980, pagine 649–655). Si tratta di un’intervista largamente utilizzata per la valutazione delle conseguenze sul/la caregiver del carico di assistenza rivolta al familiare con patologie croniche o degenerative. Lo strumento è utilizzato sia in forma self-report sia sotto forma di intervista strutturata, ed è composto da 22 item. Anche in questo caso è richiesto al/la caregiver di rispondere con una valutazione da 0 a 4, dove 0 equivale a “mai”, 1 a “raramente”, 2 a “qualche volta”, 3 a “spesso” e 4 a “quasi sempre”. Solo per il 22° item la valutazione è la seguente: 0 equivale a “per nulla”, 1 a “un poco”, 2 a “abbastanza”, 3 a “molto” e 4 a “moltissimo”.
È chiesto di riportare il punteggio totale.
È specificato che non ci sono risposte giuste o sbagliate, ed è riportata una tabellina con i valori della scala ZBI, il cui valore massimo è quaranta punti: da 0 a 20 = 10 punti; da 21 a 40 = 20 punti; da 41 a 60 = 30 punti; da 61 a 88 = 40 punti.

Queste le 22 domande (item) da valutare.

1 Ritiene che il suo familiare le chieda un aiuto maggiore rispetto a quello di cui ha bisogno?
2 Ritiene di non avere abbastanza tempo per se stesso a causa del tempo impiegato nella cura del suo familiare?
3 Si sente stressato dall’avere cura del suo familiare e dal cercare di fare fronte alle altre responsabilità?
4 Si sente in imbarazzo per il comportamento del suo familiare?
5 Si sente arrabbiato quando è con il suo familiare?
6 Ritiene che il suo familiare influisca attualmente in maniera negativa sul suo rapporto con gli altri membri della famiglia e con gli amici?
7 Teme ciò che il futuro riserva al suo familiare?
8 Sente che il suo familiare dipende da lei?
9 Si sente affaticato quando sta dietro al suo familiare?
10 Ritiene che la sua salute abbia risentito del prendersi cura del suo familiare?
11 Ritiene di non avere l’intimità e la privacy che vorrebbe a causa del suo familiare?
12 Ritiene che la sua vita sociale abbia risentito dal prendersi cura del suo familiare?
13 Si sente a disagio ad invitare a casa amici a causa del suo familiare?
14 Ritiene che il suo familiare si aspetta che lei si prenda cura lui come se fosse l’unica persona da cui dipende?
15 Sente di non avere abbastanza denaro per prendersi cura del suo familiare in aggiunta delle sue spese personali?
16 Pensa di non farcela a prendersi cura del su familiare ancora per molto tempo?
17 Pensa di non avere più il controllo della sua vita dal momento in cui il suo familiare si è ammalato?
18 Desierebbe affidare la cura del suo familiare a qualcun altro?
19 Si sente insicuro su cosa fare di più per il suo familiare?
20 Sente che vorrebbe fare di più per il suo familiare?
21 Crede che potrebbe fare di meglio nella cura del suo familiare?
22 Infine, quanto si sente sovracaricato dall’avere cura del suo familiare?

 

Ultimo aggiornamento il 28 Giugno 2022 da Simona