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La disabilità nelle Linee guida per il soccorso alle donne vittime di violenza

A fine gennaio sono state pubblicate in Gazzetta Ufficiale le “Linee guida nazionali per le Aziende sanitarie e le Aziende ospedaliere in tema di soccorso e assistenza socio-sanitaria alle donne vittime di violenza”. Diversi passaggi dimostrano che, nella redazione delle stesse, il tema della disabilità è stato considerato, ma alcune significative lacune mettono in luce come, pur con la buona volontà di soccorrere, assistere ed accogliere le donne con disabilità vittime di violenza, manca ancora una visione d’insieme di tutto ciò che occorre predisporre per rispondere adeguatamente a ciascuna di esse.

Primo piano di una giovane donna con gli occhi chiusi ed i capelli sul viso (foto di Rodolfo Sanches Carvalho).
Primo piano di una giovane donna con gli occhi chiusi ed i capelli sul viso (foto di Rodolfo Sanches Carvalho).

Con il Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri del 24 novembre 2017 sono state adottate le “Linee guida nazionali per le Aziende sanitarie e le Aziende ospedaliere in tema di soccorso e assistenza socio-sanitaria alle donne vittime di violenza” (Gazzetta Ufficiale n. 24 del 30 gennaio 2018), alle quali la stessa norma attribuisce la denominazione abbreviata di «Percorso per le donne che subiscono violenza» (tutti i grassetti nella presente citazione testuale, ed in quelle successive, sono un nostro intervento).

Come si evince dall’oggetto del DPCM, le Linee guida nazionali riguardano le Aziende sanitarie e le Aziende ospedaliere, e sono volte a fornire un intervento adeguato e integrato nel trattamento delle conseguenze fisiche e psicologiche che la violenza maschile produce sulla salute delle donne, e a garantire una tempestiva e adeguata presa in carico delle stesse a partire dal triage, fino all’accompagnamento/orientamento, se consenzienti, ai servizi pubblici e privati presenti sul territorio di riferimento, al fine di elaborare, con le stesse, un progetto personalizzato di sostegno e di ascolto per la fuoriuscita dall’esperienza di violenza subita. Sono coinvolti nel percorso anche le/gli eventuali figlie/i minori della donna, testimoni o vittime di violenza, nel rispetto della normativa riguardante i minori e delle vigenti procedure di presa in carico socio-sanitaria delle persone minorenni.

Poiché l’accesso al soccorso e all’assistenza socio-sanitaria dovrebbe essere garantito senza discriminazioni di nessun tipo a tutte le bambine, le ragazze e le donne che subiscono violenza, e poiché sappiamo che nel caso delle donne con disabilità tale accesso può essere garantito solo predisponendo accorgimenti specifici che consentano di superare le barriere di comunicazione o di altro tipo che si possono presentare in ciascuna fase del percorso, abbiamo ritenuto utile verificare se, ed in che modo, nella redazione delle Linee guida si è tenuto conto delle caratteristiche e delle esigenze delle vittime di violenza con disabilità diverse. Detto più semplicemente, abbiamo voluto verificare in che modo nella definizione del percorso volto a garantire adeguata assistenza, accompagnamento/orientamento, protezione e messa in sicurezza della donna che subisce violenza si è tenuto conto del fatto che la vittima potrebbe avere una disabilità. Per fare questo abbiamo cercato i rifermenti alla disabilità presenti del testo normativo. Quindi li abbiamo analizzati per scoprire se siano chiari e sufficienti ad accogliere e supportare adeguatamente le donne con disabilità diverse vittime di violenza.

Riferimenti alla disabilità presenti nel testo delle Linee guida

Un primo riferimento alla disabilità è contenuto nella parte introduttiva, quella che precede l’unico articolo del DPCM vero e proprio, allorquando è richiamata la direttiva 2012/29/UE del Parlamento europeo e del Consiglio d’Europa del 25 ottobre 2012 che istituisce norme minime in materia di diritti, assistenza e protezione delle vittime di reato, sottolineando che le vittime di reato dovrebbero essere riconosciute e trattate in maniera rispettosa, sensibile e professionale, senza discriminazioni di sorta: tra le motivazioni di discriminazione espressamente vietate è esplicitamente citata, assieme a molte altre, quella inerente la disabilità.

Un secondo riferimento è presente nella “Parte seconda” (Accesso al Pronto Soccorso e Triage) delle Linee guida vere e proprie. È infatti specificato che «l’operatrice/operatore che prende in carico la donna dovrà: utilizzare una corretta comunicazione con un linguaggio semplice, comprensibile e accessibile anche alle donne affette da disabilità sensoriale, cognitiva o relazionale», e anche «attivare per donne affette da disabilità, ove necessario, la presenza di figure di supporto».

Gli altri riferimenti presenti riguardano la regolare e continua attività di formazione e aggiornamento del personale – compreso quello convenzionato (ad esempio medici di famiglia, pediatri, medici specialistici) – delle Aziende sanitarie locali e delle Aziende ospedaliere. Nella “Parte quarta” (Aziende sanitarie) è stabilito che «i moduli formativi dovranno fornire una adeguata conoscenza di base del fenomeno della violenza maschile contro le donne [anche] in merito a[lla]: […] tutela delle categorie vulnerabili: quali sono, specifici obblighi e possibili percorsi per donne disabili, in gravidanza, minori ecc.». Nell’Allegato D (Formazione professionale) si suggerisce una formazione articolata in un minimo di 8 moduli formativi, sia residenziale che coadiuvata da strumenti di formazione a distanza, per un totale di frequenza che va da un minimo di 20 fino a 50 ore. Nel fornire un esempio di struttura e contenuto del corso con moduli, ne sono indicati due specifici sulla condizione della donna con disabilità, eccoli:
«Modulo C: Promuovere la capacità di instaurare con la donna una relazione fondata sull’ascolto e sull’accoglienza, mediante l’utilizzo di un linguaggio comune semplice, comprensibile e accessibile anche alle donne affette da disabilità sensoriale, cognitiva o relazionale, e garantire un approccio empatico e non giudicante.»
«Modulo I: Sensibilizzazione sulle specifiche forme di violenza a danno delle donne affette da disabilità diverse e sugli specifici percorsi da attivare.»

Osservazioni su come è stato trattato il tema della disabilità nelle Linee guida

Come abbiamo visto il tema della disabilità è stato considerato in più punti delle Linee guida: nel ribadire il divieto di discriminazione, nell’esprimere attenzione al linguaggio, nella prescrizione di attivare, ove necessario, figure di supporto, nelle indicazioni sulla formazione del personale sanitario.

A questo punto dobbiamo chiederci se gli interventi previsti sono chiari e sufficienti ad accogliere e supportare adeguatamente le donne con diverse disabilità vittime di violenza.

Se è apprezzabile che si prescriva di utilizzare una corretta comunicazione con un linguaggio semplice, comprensibile e accessibile anche alle donne con disabilità sensoriale, cognitiva o relazionale, notiamo, tuttavia, che le poche ore di formazione previste su questi aspetti ben difficilmente riusciranno a dare agli operatori sanitari gli strumenti sufficienti per affrontate in modo appropriato tutte le situazioni che si possono presentare, e vi è una certa vaghezza nel prospettare l’attivazione di non meglio precisate figure di supporto, alle quali si fa riferimento poco più avanti. Va peraltro osservato che nel definire la rete ed individuare gli attori coinvolti nel Percorso antiviolenza (“Parte prima” delle Linee guida, Denominazione e obiettivo delle Linee guida nazionali) si citano i seguenti soggetti/servizi: Servizi sanitari del Servizio sanitario nazionale, ospedalieri e territoriali; Servizi socio-sanitari territoriali; Centri antiviolenza e Case rifugio; Forze dell’ordine e Forze di Polizia locali; Procura della Repubblica presso il Tribunale ordinario e presso il Tribunale per i Minorenni; Tribunale (civile-penale-per i Minorenni); Enti territoriali (Regioni – Province – Città metropolitane – Comuni). Questo vuol dire che nel Percorso antiviolenza non sono coinvolti soggetti della società civile operanti nel settore della disabilità (associazioni e servizi di tutela delle persone fragili): una scelta politica che, a nostro giudizio, appare alquanto discutibile.

Nella “Parte seconda” (Accesso al Pronto Soccorso e Triage) si parla dell’accesso al Pronto Soccorso e si ipotizza che la donna vi possa accedere da sola o accompagnata da altre figure, ebbene, tra queste figure non è indicata nessuna di quelle preposte a supportare le persone con disabilità (amministratori di sostegno, tutori, curatori, assistenti personali, interpreti LIS …). Ancora nella “Parte seconda” è previsto che «nella zona del triage deve essere presente materiale informativo (cartaceo e/o multimediale) visibile e comprensibile anche da donne straniere […]», ma non è prescritto che tale materiale informativo debba essere accessibile e comprensibile anche per donne con disabilità diverse. È previsto che le donne ricevano specifiche indicazioni relative al numero telefonico di pubblica utilità 1522, ma manca qualsiasi riferimento ad accessi multicanali (ad esempio, attraverso messaggi, chat ed e-mail), una lacuna che penalizza tutte le donne con disabilità che hanno problemi ad utilizzare il telefono nel modo tradizionale (ad esempio, le donne sorde), o difficoltà ad utilizzarlo in condizioni di riservatezza (ad esempio, alcune donne tetraplegiche). Mancano, infine, riferimenti all’accessibilità fisica degli ambienti, probabilmente perché data per certa, ma che in realtà, soprattutto nelle sedi degli altri soggetti/servizi coinvolti nel Percorso antiviolenza (Centri antiviolenza, Case rifugio, caserme, uffici della Polizia locale, Procure, tribunali ed Enti territoriali), è tutt’altro che garantita, anzi!

Sempre nella “Parte seconda” in merito alla dimissione dal Pronto Soccorso sono trascritti i seguenti codici di diagnosi da indicare verbale di dimissione: 995.50 abuso/maltrattamento minore; 995.53 abuso sessuale minore; 995.80 abuso/maltrattamento adulto; 995.83 abuso sessuale adulto; 995.51 violenza psicologica su minore. Non è previsto alcun codice di diagnosi relativo alle persone con disabilità, e poiché le schede del triage e quelle di dimissione sono utilizzate nel monitoraggio del fenomeno della violenza, la circostanza che la raccolta dei dati non sia stata impostata in modo da rilevare la presenza della disabilità, preclude che tali dati possano essere utilizzati per indagini sulla violenza nei confronti delle donne con disabilità, nonché per una programmazione mirata delle politiche e dei servizi rivolti alle vittime di violenza con disabilità.

Ottima, invece, la scelta di inserire dei moduli formativi specifici sulla comunicazione, le specifiche forme di violenza contro le donne con disabilità, e sui percorsi specifici da attivare per loro. 

Conclusioni

In primo luogo va preso atto che le Linee guida hanno considerato le donne con disabilità ed hanno previsto diversi accorgimenti specifici per loro. Questo è un fatto oggettivo che merita un sincero apprezzamento, soprattutto se si considera che tale attenzione non era affatto scontata (basti pensare che nel “Secondo programma di azione biennale per la promozione dei diritti e l’integrazione delle persone con disabilità”, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale lo scorso dicembre, il tema della violenza di genere è stato completamente omesso, un fatto di una gravità inaudita). Esplicitato questo riconoscimento, vanno tuttavia rilevati: la vaghezza nell’indicare le figure di supporto che dovrebbero affiancare il personale sanitario nell’accoglienza delle donne con disabilità; la mancanza di coinvolgimento nel Percorso antiviolenza dei soggetti della società civile operanti nel settore della disabilità; l’attenzione alla comunicazione diretta con la donna con disabilità, ma non al fatto che il materiale informativo debba essere accessibile e comprensibile per lei, né alla circostanza che l’accesso telefonico ai servizi antiviolenza potrebbe esserle precluso o difficoltoso, né ad impostare la raccolta dati sui servizi in modo da rilevare la presenza della disabilità. Lacune che mettono in luce come, pur con la buona volontà di soccorrere, assistere ed accogliere le donne con disabilità vittime di violenza – buona volontà resa evidente anche dall’aver previso appositi moduli formativi sulla specificità in questione –, manca ancora una visione d’insieme di tutto ciò che occorre predisporre per rispondere adeguatamente a ciascuna di esse.

Simona Lancioni
Responsabile del centro Informare un’h di Peccioli (PI)

 

Ringraziamenti: ringraziamo Nadia Muscialini e Martina Gerosa per il confronto e l’impegno costante sul tema della violenza nei confronti delle donne con disabilità. Confronto dal quale è scaturita anche la presente riflessione. 

 

Per approfondire:

Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri del 24 novembre 2017, “Linee guida nazionali per le Aziende sanitarie e le Aziende ospedaliere in tema di soccorso e assistenza socio-sanitaria alle donne vittime di violenza” (Gazzetta Ufficiale n. 24 del 30 gennaio 2018).

Simona Lancioni, Il programma d’azione sulla disabilità e la prospettiva di genere, «Informare un’h», 16 gennaio 2018.

Sezione del centro Informare un’h dedicata al tema “La violenza nei confronti delle donne con disabilità”.

Sezione del centro Informare un’h dedicata al tema “Donne con disabilità”.

 

Ultimo aggiornamento: 7 febbraio 2018

Ultimo aggiornamento il 7 Febbraio 2018 da Simona