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L’aborto non è una questione femminile, ma politica

di Piera Nobili

Si arricchisce di una nuova interessante riflessione il confronto in tema di aborto terapeutico, avviato nel 2021, e rianimatosi in questi giorni. Ad elaborarla è Piera Nobili, architetta e femminista, prendendo spunto dalla campagna di comunicazione “Dear Furure Mom”, realizzata nel 2014 da CoorDown, che venne ritirata dai canali televisivi francesi dall’Autorità competente perché ritenuta interpretabile in senso antiabortista. A tal proposito, scrive, tra le altre cose, Nobili: «non condivido la decisione francese di censurare il video, ma ritengo che debba essere contestualizzato affinché se ne possa decriptare il messaggio e si possa politicamente riflettere apertamente sull’aborto, anche quello terapeutico, senza infingimenti». (S.L.)

Egon Schiele, La madre cieca, 2014, Leopold Museum, Vienna. Dipinto che raffigura una donna che allatta un bambino tenendolo con un braccio e raccolto tra le gambe larghe.

Chi produce opere d’ingegno, che siano culturali, artistiche o comunicative, persegue il trasferimento di emozioni e messaggi ritenuti fondamentali. Messaggi a volte non interrogati nel profondo dallo stesso estensore. Inoltre, qualunque sia l’opera prodotta, questa viene interpretata dallo sguardo di chi la fruisce con il portato di cultura, esperienze vissute e inconsapevoli pregiudizi personali.

La campagna di sensibilizzazione in questione, realizzata da CoorDown, il Coordinamento Nazionale Associazioni delle Persone con Sindrome di Down, nel 2014 col corto “Dear Future Mom”, ha già da tempo aperto a diverse riflessioni e interpretazioni, fra le quali quella sull’aborto terapeutico, ma non solo.

È innegabile che il corto sia ben fatto per lo scopo per cui è nato, quello di rassicurare le future madri e dare valore alle persone con disabilità. È altrettanto innegabile, però, che fra le pieghe ometta e trasmetta anche altro.

Nella volontà di rispondere a una donna che, dichiarando la sua paura, chiedeva come sarebbe stata la vita della futura nascitura con sindrome di Down, il corto mostra attraverso la voce di ragazze e ragazzi con Trisomia 21 gli aspetti positivi di una relazione affettiva piena e di obiettivi di autonomia raggiungibili. Nulla, però, mostra delle difficoltà anche economiche, delle fatiche anche sociali, delle preoccupazioni che accompagneranno la crescita e la vita futura, né mostra la carenza di servizi e progetti di vita indipendente che li sappiano sostenere, soprattutto quando la famiglia non sarà più al loro fianco. Unico accenno a generiche difficoltà assimilate a quelle che potrebbero accadere in qualunque famiglia.

Vero che rispondono a una donna (che chiamano già madre ancor prima di esserlo – giacché la cultura che vede in ogni donna una madre in potenza è pervasiva), ma perché nel corto non compare anche un uomo, che sarà padre, a cui in egual misura competerà la cura? La sua assenza se da un lato sembra rispettare l’indipendenza di giudizio e scelta della donna, dall’altro conferma il ruolo “naturale” della stessa, eterna madre che ha cura dell’umanità, in particolare di quella più fragile: gratuita “operaria” della sopravvivenza sociale.

La storia che attraversa il materno non è fatta solo di parole, anche di immagini come in questo caso. Immagini che sono più potenti delle parole (Serena Simoni, Nel nome della madre, Breve storia per immagini, in Ambiguo materno, a cura di Piera Nobili e Maria Paola Patuelli, Ravenna, Fernandel, 2017) stesse, depositandosi acriticamente nell’immaginario profondo di ognuno/a. Potere esercitato grazie alla non conoscenza delle strutture linguistiche proprie dell’artefatto e degli strumenti necessari alla decostruzione dei contenuti.

Nel corto non si ravvisa la volontà di rispettare la libera scelta della donna, bensì quella di rassicurare sulla positività dell’esperienza e della relazione madre-figlia/o, utilizzando il registro del cuore e delle aspettative. Quindi, è possibile che tale risposta porti con sé anche un pensiero antiabortista non chiaramente (inconsapevolmente) espresso.

La maternità, oggi, è una scelta ed implica conoscere le possibilità proprie e quelle che la società nel suo insieme mette a disposizione, e di conoscere i limiti e i desideri propri sapendoli distinguere dall’eco della società che vuole la corrispondenza al ruolo. Ruolo che, in diverse situazioni, richiede spirito di abnegazione.

Lo stesso CoorDown è intervenuto a sostegno della propria campagna e per prendere le distanze da chi vi legge una volontà antiabortista: «… la campagna promuove il diritto alla felicità e al benessere delle persone con sindrome di Down e non è una campagna anti-abortista. Siamo per la difesa della libertà di scelta individuale senza se e senza manel rispetto di qualunque essa sia. Certo vorremmo che le famiglie davanti ad una diagnosi pre-natale vengano informate adeguatamente e sostenute, un servizio che le nostre associazioni fanno capillarmente sui territori».

Qui non si vuole mettere in discussione la legittima posizione di CoorDown, bensì sostenere l’autodeterminazione delle donne nei confronti di una scelta sofferta, come quella dell’aborto in generale e in particolare di quello terapeutico. Donne a cui è sì necessario offrire sostegno, ma senza che qualcuno promuova convincimenti diversi tramite voci di ragazze e ragazzi con disabilità viventi, o inserendo nei consultori rappresentanti di Pro-Life, o consentendo a troppi medici e paramedici di essere obiettori, o istituendo i cimiteri per feti abortiti, o facendo ascoltare il battito cardiaco di un feto, perché tale è: un feto non un essere vivente [Nobili si riferisce al fatto che dallo scorso 15 settembre in Ungheria le donne sono costrette ad ascoltare il battito cardiaco del feto prima di abortire, N.d.R.].

L’aborto non è una questione femminile, bensì è una questione politica che mette al centro il rapporto di potere fra i sessi e fra i diritti di diversi segmenti di popolazione, diritti che debbono trovare una giusta mediazione in base ad una definita gerarchia dei diritti stessi. Per primi quelli delle donne, corpi viventi, che possono liberamente scegliere la maternità, anche la più difficile.

Per non essere fraintesa, non condivido la decisione francese di censurare il video, ma ritengo che debba essere contestualizzato affinché se ne possa decriptare il messaggio e si possa politicamente riflettere apertamente sull’aborto, anche quello terapeutico, senza infingimenti.

 

Vedi anche:

CoorDown: “Dear Furure Mom” non è una campagna anti-abortista, «Informare un’h», 14 settembre 2022.

Il dibattito in tema di aborto terapeutico, 2021-2022.

Sezione del centro Informare un’h dedicata al tema “Donne con disabilità: diritti sessuali e riproduttivi”.

Sezione del centro Informare un’h dedicata al tema “La violenza nei confronti delle donne con disabilità”.

Sezione del centro Informare un’h dedicata al tema “Donne con disabilità”.

 

Ultimo aggiornamento il 18 Settembre 2022 da Simona