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L’accesso ai servizi sanitari delle donne con disabilità riguarda tutte le donne

di Lisa Noja

Avvocata abilitata in Italia e a New York, delegata per l’accessibilità a Milano, luogo in cui ha studiato e vive, e deputata. Oltre a essere e fare tutte queste cose, Lisa Noja è anche una donna con disabilità che ha saputo portare il suo sguardo femminile e la soggettività delle persone con disabilità nella politica. Lo ha fatto innumerevoli volte. Giusto per citarne una: si deve alla sua iniziativa la prima delle quattro Mozioni finalizzate a contrastare la discriminazione multipla che colpisce le donne con disabilità approvate nell’ottobre 2019 alla Camera dei Deputati. Torna a farlo ora, con lo scritto che pubblichiamo, per denunciare le discriminazioni subite dalle donne con disabilità nell’accesso agli screening di prevenzione dei tumori femminili. Questa volta lo fa a partire dalla propria esperienza personale. Ancora una volta, nelle battaglie per i diritti civili e umani, il personale diventa politico. Non è scontato, né dovuto. È un dono per il quale possiamo solo ringraziare. (Simona Lancioni)

 

Una donna esegue una mammografia. La maggior parte del mammografi sono pensati per donne che possono tenere la posizione eretta, la qual cosa esclude o complica notevolmente l’esecuzione dell’esame da parte di chi si sposta in sedia a rotelle.

Io sono una persona riservata rispetto alle mie questioni private.

Tempo fa, però, il mio amico Ivan Scalfarotto mi disse che, se si è in politica, a volte, raccontare le proprie esperienze personali è necessario per dar voce a chi non ha la possibilità di farsi sentire.

Per questo, vi racconto che venerdì sono andata a fare la mammografia.

Ero più in ansia del solito perché, a causa della pandemia, avevo accumulato un ritardo rispetto alle tempistiche previste per i controlli di routine.

Quindi, insomma, ero più di cattivo umore del solito rispetto a un esame che, diciamocelo, non è mai una passeggiata.

Forse anche per questo il ripetersi, per l’ennesima volta, delle difficoltà legate alla sostanziale inaccessibilità del macchinario a una donna che si muove su una carrozzina elettrica mi sono pesate particolarmente.

Come sempre la fatica di posizionarsi correttamente davanti alla macchina, le braccia tirate, le spalle contorte, lo sforzo di abbarbicarsi a un oggetto progettato senza tenere in minima considerazione milioni di donne che, come me, non possono stare in piedi, che non riescono a tenere una postura standard, che hanno una muscolatura più debole.

Insomma che sono diverse dal modello di femmina che i designer hanno in testa, ma che non sono immuni dal cancro, che hanno bisogno di sottoporsi ad esami diagnostici periodici e che si ammalano esattamente come le altre.

Come sempre, la paura che, a causa di questa totale indifferenza progettuale, l’esame non fosse abbastanza accurato e sfuggisse qualcosa.

Ancora una volta il personale sanitario si è prodigato per superare le difficoltà con una professionalità, una dedizione e una gentilezza impagabili, cercando e trovando tutte le soluzioni possibili, dedicandomi tempo, ripetendo l’esame finché non sono stati tranquilli di aver fatto tutto al meglio.

Venerdì, però, forse complice la maggiore tensione, alla fine per un momento mi è venuto da piangere. Nessuno se ne è accorto, ma ho dovuto proprio ricacciare giù le lacrime per la rabbia.

Rabbia perché non è giusto che io e milioni di donne dobbiamo subire questa umiliazione per avere accesso alle cure e alla prevenzione.

Perché c’è una parte della mia disabilità che dipende da una malattia rara e quella parte non è colpa di nessuno, ci ho fatto i conti da tempo, ma c’è un altro pezzo che sarebbe evitabile e deriva solo dalla totale incapacità di costruire un mondo a misura di tutti e tutte.

Perché siamo resilienti ma, così come esiste l’accumulo nell’uso dei farmaci, esiste anche l’accumulo nella fatica e nella frustrazione quotidiana. Perché la discriminazione abilista non è fatta solo di fatti violenti o episodi eclatanti.

Molto più spesso è il frutto di un’attitudine verso il mondo che espelle dalla realtà un pezzo di umanità, senza nemmeno rendersene conto.

In Parlamento abbiamo approvato all’unanimità una Mozione a mia prima firma che parla anche di questo e non c’è dubbio che ancora tanti degli impegni ivi previsti devono essere realizzati [si veda, a tal proposito, “La Camera “scopre” la discriminazione multipla delle donne con disabilità”, N.d.R.].

Però, non basta e non basterà.

Perché questa battaglia sarà vinta solo quando sarà combattuta da tutte e tutti.

Quando troverà spazio nel mainstreaming delle rivendicazioni femministe (possono i #metoo che invadono i social essere anche questo, per favore?), quando le tante associazioni che meritoriamente si occupano di promuovere la prevenzione al cancro si faranno carico anche di chi alla prevenzione vuole accedere ma non riesce per colpa del design escludente di un servizio, quando i media cominceranno a raccontare questa quotidianità, con cura e profondità, senza toni spesso da porno del dolore, quando le tante influencer che giustamente vogliono diffondere un messaggio di accettazione di sé e del proprio corpo imperfetto sapranno parlare anche a me e di me, a noi e di noi che l’”imperfezione” la viviamo non solo come un limite interiore ma anche come una barriera fisica che ci impedisce ogni giorno di soddisfare i nostri bisogni e realizzare le nostre aspirazioni.

Sorelle, aprite gli occhi, ci siamo anche noi, donne con disabilità, e abbiamo bisogno di voi.

Se non ora quando?

 

Vedi anche:

Servizi per la salute sessuale e riproduttiva preparati ad accogliere donne con disabilità – 2021

Sezione del centro Informare un’h dedicata al tema “Donne con disabilità: diritti sessuali e riproduttivi”.

Sezione del centro Informare un’h dedicata al tema “La violenza nei confronti delle donne con disabilità”.

Sezione del centro Informare un’h dedicata al tema “Donne con disabilità”.

 

Ultimo aggiornamento il 8 Novembre 2021 da Simona