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Le donne con disabilità e le forme della vittimizzazione secondaria

di Rosalba Taddeini e Flavia Landolina*

Con l’espressione “vittimizzazione secondaria” si designa quel fenomeno per cui le donne vittime di violenza subiscono una seconda “vittimizzazione”, ossia una seconda aggressione, che le rende di nuovo vittime, da parte delle Istituzioni. Nella loro importante riflessione su questo tema Rosalba Taddeini e Flavia Landolina mostrano che le donne con disabilità vittime di violenza vi sono particolarmente esposte, ed illustrano le forme oltremodo drammatiche con le quali il fenomeno si manifesta. Si tratta di un contributo particolarmente prezioso, specie se si considera che, come già riferito dal centro Informare un’h, la recente Relazione sul fenomeno della Commissione parlamentare di inchiesta sul femminicidio ha completamente ignorato le donne con disabilità. (S.L.)

 

Un’opera dell’artista americano Michael Mapes ritrae un volto femminile. L’opera è costituita da una sorta di mosaico composto con piccoli frammenti di fotografie ed altri elementi appuntati con degli spilli.

I dati raccolti nel corso dell’anno 2021 dall’Osservatorio nazionale sulle violenze contro le donne con disabilità dell’Associazione Differenza Donna, evidenziano come le donne con disabilità costituiscano il 5% delle donne accolte dai centri gestiti dall’Associazione, sia sul territorio laziale che campano (123 su 2411).

A seguito della pandemia si è evidenziato un incremento importante dell’emersione e del contrasto alla violenza di genere nei confronti delle donne con disabilità, infatti la crescita è stata del 36% (90 donne nel 2020 contro le 123 del 2021).

All’interno dei dati statistici sui casi di violenza rilevati dall’Associazione sono computati in modo disaggregato anche quelli sulle donne con disabilità, che sono più soggette a vittimizzazione secondaria nel momento in cui denunciano la violenza subita o nei procedimenti per l’affidamento dei figli. Soprattutto riguardo all’affidamento dei propri figli le discriminazioni subite dalle donne con disabilità sono molteplici e sono imputabili non solo ai pregiudizi del personale dei servizi, ma anche al fatto che il ricatto sui figli è molto presente nelle relazioni violente ed è utilizzato dal marito/compagno violento come uno strumento per mantenere un potere ed agire un controllo sulla donna stessa.

L’esempio più evidente lo vediamo nel sistema spagnolo dove le donne con disabilità che ambiscono ad ottenere il riconoscimento del diritto alla genitorialità affrontano maggiori difficoltà rispetto agli uomini. L’assistenza prenatale e post-natale è spesso inaccessibile o inadeguata rispetto ai bisogni delle donne con disabilità. Inoltre vi è una tendenza a richiedere che le donne con disabilità che desiderano avere figli siano sottoposte a screening genetici, sebbene lo stesso non sia richiesto per gli uomini. Sempre in Spagna, è previsto che una donna ha un figlio con disabilità riceva un’assistenza finanziaria per soddisfare i bisogni del bambino e la genitorialità, ma per le madri con disabilità non è prevista alcuna assistenza speciale, nemmeno nel caso in cui la richiedano, e, oltretutto, rischiano di essere criticate per aver scelto di diventare madri. Formalmente non esistono restrizioni che impediscano alle donne con disabilità di adottare i bambini, ma in pratica il sistema le esclude dalle adozioni. In caso di divorzio, il fatto che la madre abbia una disabilità spesso ha come conseguenza che la custodia dei figli sia affidata al padre.

In base alla nostra esperienza, nei casi di denuncia per maltrattamento, quando la donna con disabilità e i minori vengono collocati presso una casa famiglia, la madre è sempre sottoposta ad una valutazione rispetto alle capacità genitoriali che non tiene conto delle sue fragilità. L’impiego di parametri che non soppesano le caratteristiche della donna e le sue difficoltà, e che sono costruiti con indicatori standardizzati ed improntati ad una cultura patriarcale, fa sì che la valutazione abbia sempre un esito negativo e che la donna sia esposta ad una ulteriore vittimizzazione secondaria.

Sempre facendo riferimento alla nostra esperienza, abbiamo constatato che purtroppo capita spesso che se una donna con disabilità decide di avere un figlio e ha delle difficoltà può capitare che, dopo aver partorito, il figlio le venga levato, e dal momento in cui lascia l’ospedale non possa più rivederlo. È capitato a Gaia, una donna con disabilità cognitiva lieve di 28 anni, che dopo aver partorito in ospedale è stata congedata senza bambino. Gaia è riuscita a rivedere suo figlio solo dopo 40 giorni, quando il Servizio Sociale ha “finalmente creduto” alle sue dichiarazioni che fosse vittima di violenza ed ha disposto che fosse ospitata presso una struttura. E tuttavia, dopo 20 giorni di permanenza nella casa famiglia viene dichiarata nuovamente inadeguata alla funzione genitoriale, dunque, per la seconda volta, le levano il figlio e lo dichiarano adottabile. Dopo tre anni dall’accaduto, Gaia si è presentata con sua madre al nostro Centro Antiviolenza, sull’avanbraccio un tatuaggio col nome del figlio e la data di nascita, ci chiede aiuto per il secondo figlio appena partorito perché non vuole che glielo tolgano.

È capitato a Maya che, dopo aver cresciuto suo figlio fino all’età di 7 anni, ed averlo sempre molto curato sia nell’abbigliamento che nell’igiene personale, decide di denunciare la violenza da parte del suo ex compagno e ottiene in risposta che le venga sottratto il figlio senza nemmeno essere chiamata per una valutazione delle sue capacità genitoriali. Un dolore immenso per lei ed un grande trauma anche per il bambino che sino a quel momento ha sempre avuto come punto di riferimento la sua mamma “speciale”.

Di storie come queste ai Centri ne arrivano tante…

Circa il 70% delle donne con disabilità che arrivano ai nostri Centri Antiviolenza, alle Case Rifugio o ai nostri Codici Rosa presso gli ospedali, hanno una difficoltà cognitiva/intellettiva e psichiatrica, e sono quelle a più alto rischio di incorrere nel trattamento che abbiamo descritto senza che venga fatta un’adeguata valutazione che consideri sia le difficoltà che le capacità, e senza prendere in considerazione di fornire loro i sostegni necessari ad esercitare il diritto di essere madri e, contemporaneamente, riconoscere al figlio il diritto di stare con la donna che lo ha messo al mondo. Questo è stato possibile solo per Marta, una donna con disabilità cognitiva madre di una bambina di 6 anni che, dopo aver denunciato l’ex marito per violenze, è riuscita ad ottenere un servizio di assistenza domiciliare che l’aiutasse nella quotidianità. L’alternativa sarebbe stata quella di separare madre e figlio e inserire entrambi in due strutture distinte, accrescendo così il costo sociale e traumatizzando entrambi per la separazione. Ma quella di Marta è un’eccezione.

Quasi la metà delle donne con disabilità accolte nei Centri Antiviolenza ha figli.

È in primo luogo un problema di ignoranza e pregiudizi. Molto spesso la donna con disabilità viene considerata come una “donna mancata”, viene messa in discussione la sua femminilità e, con questa, la possibilità di scegliere di procreare, educare e crescere i propri figli. L’esperienza maturata nella nostra Associazione ci ha portato a constatare che le donne con disabilità cognitiva, intellettiva e psichiatrica certificata siano accompagnate sino al parto, ma i loro figli vengano resi adottabili sin dalla nascita. Invece di essere supportate nelle loro fragilità, queste donne sono costrette a tornare a casa senza i propri figli, che vengono subito dichiarati adottabili senza una reale motivazione, visto che, come detto, non vengono valutate le capacità genitoriali oggettive e il bambino viene immediatamente affidato ai servizi.

Siamo ancora immerse nella cultura patriarcale che connota il genere femminile come oggetto passivo di attenzioni sessuali, ma solitamente le donne con disabilità non si conformano ai consueti canoni femminili di bellezza. Finisce così che queste donne si ritrovano nella situazione paradossale – soprattutto se analizzata da un punto di vista femminista – di vedersi negata la propria soggettività a causa dell’impossibilità di essere un oggetto sessuale. L’oggettificazione sessuale è infatti una modalità di riconoscimento e conferma eterosessuale, e le donne con disabilità, non essendovi esposte, si ritrovano a non avere strumenti per affermare la propria soggettività.

La sessualità delle donne disabili è negata, censurata, non riconosciuta sia nel contesto familiare che in quello sociale. La donna con disabilità è desessualizzata ed identificata con l’immagine dell’eterna bambina. Nell’immaginario collettivo non è presa in considerazione l’eventualità che una donna con disabilità possa piacere, possa suscitare desiderio sessuale e possa, di conseguenza, avere rapporti sessuali, relazioni sentimentali e divenire madre. Siamo inoltre convinte che nell’immaginario collettivo non esista nemmeno il binomio donna con disabilità-vittima di violenza.

Questa situazione suscita enormi difficoltà. Infatti le famiglie, pur mantenendo una visione angelicata delle donne con disabilità, talvolta decidono di adottare quelle che loro considerano “misure di prevenzione dell’abuso sessuale e di maternità poco consapevoli”, sottoponendo le bambine, le ragazze e le donne con disabilità a forme di coercizione riproduttiva (come la sterilizzazione inconsapevole o forzata). Ma tali trattamenti, lungi dal prevenire gli abusi, si rivelano invece particolarmente efficaci a nascondere la violenza sessuale, e certamente non prevengono le malattie sessualmente trasmissibili, soprattutto quando i segnali della violenza emergono e vengono interpretati come una conseguenza della disabilità.

 

* Rosalba Taddeini e Flavia Landolina sono rispettivamente la responsabile dell’Osservatorio nazionale sulle violenze contro le donne con disabilità dell’Associazione Differenza Donna, e una tirocinante psicologa della medesima Associazione.

 

Vedi anche:

Associazione Differenza Donna.

Sezione dedicata alla violenza sulle donne con disabilità e all’Osservatorio nazionale sulle violenze contro le donne con disabilità nel sito dell’Associazione Differenza Donna.

Simona Lancioni, Violenza, le donne con disabilità e la vittimizzazione secondaria, «Informare un’h», 1 giugno 2022.

Sezione del centro Informare un’h dedicata al tema “La violenza nei confronti delle donne con disabilità”.

Sezione del centro Informare un’h dedicata al tema “Donne con disabilità”.

 

Ultimo aggiornamento il 10 Giugno 2022 da Simona