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Sarah Biffin, che dipinse con la bocca per la regina Vittoria

di Stefania Delendati*

Nata alla fine del Settecento con tutte le probabilità contro, in quanto donna, povera e con una disabilità congenita quale la focomelia, Sarah Biffin seppe costruirsi una vita e un lavoro, facendo emergere il suo talento. Oltre un secolo e mezzo dopo la sua morte finalmente viene apprezzata fino in fondo come donna e come artista, capace ancora di ispirare alle persone con disabilità in generale, e alle donne con disabilità in particolare, la necessità di perseverare per una reale inclusione.

L’autoritratto di Sarah Biffin conservato alle Gallerie Nazionali della Scozia.

Si chiamava Sarah. Riguardo al cognome, le fonti sono discordanti, alcune riferiscono Biffen, altre Beffin e altre ancora Biffin. Prendiamo per attendibile quest’ultima, dal momento che è la più citata e quella con la quale le viene attribuito l’autoritratto conservato presso le Gallerie Nazionali della Scozia, dove è conosciuta anche con il nome da sposata, Mrs Wright, che utilizzò per alcuni anni per firmare le sue opere.

Sarah Biffin era un’artista inglese dell’Ottocento, una delle miniaturiste più famose dell’età vittoriana, una donna tenace, intelligente e orgogliosa al punto di superare tre barriere culturali a tutt’oggi difficili da aggirare, ma alla sua epoca praticamente invalicabili: l’essere donna in una società dominata dal potere maschile, le origini molto umili e la disabilità congenita che alla fine del Settecento, quando era nata, equivaleva ad una condanna di stenti, a volte finanche di morte.
Era figlia di un bracciante agricolo, Henry Biffin, e di Sarah Perkins, venne al mondo il 25 ottobre 1784 a East Quantoxhead, un villaggio nella contea di Somerset. Nel registro dei battesimi venne annotato che la piccola era nata «senza braccia e con un abbozzo di gambe». Si trattava di focomelia, una patologia nota fin dall’antichità, poco diffusa, le cui cause non risultano ancora del tutto chiare. Il nome deriva dal greco e significa “arti da foca”, in quanto nelle persone affette da questa malattia, allo stadio fetale, le ossa lunghe di braccia e gambe non si sviluppano oppure si sviluppano soltanto parzialmente (la focomelia diventò tristemente famosa a partire dalla fine degli Anni Cinquanta del Novecento, come conseguenza dell’assunzione di un farmaco, la talidomide, che preso in gravidanza da numerose donne per contrastare le nausee mattutine, provocò la nascita di circa ventimila bambini con questa malattia in tutto il mondo [se ne legga approfonditamente anche sulle nostre pagine, N.d.R.]).

Un altro autoritratto di Sarah Biffin.

Il contesto di Sarah era quello rurale dell’Inghilterra sud-occidentale, caratterizzato dall’indigenza; nella sua famiglia lei era la terza di cinque figli e aggiungiamo la cultura del tempo che spingeva ad abbandonare i bambini nati con disabilità, che a volte venivano lasciati morire di inedia per non causare “problemi” alle persone che vivevano loro accanto.
Henry e la moglie fecero una scelta in controtendenza, si presero cura di lei e cercarono di andare incontro alle sue necessità. Erano tuttavia impauriti di fronte alla determinazione della figlioletta che fin da subito mostrò di voler trovare ogni mezzo per condurre una vita normale.
A 8 anni chiese di poter imparare a cucire, lavoro ritenuto per lei impossibile. I genitori la scoraggiarono, ma lei non si arrese e in seguito scrisse: «Ogni volta che mio padre e mia madre erano assenti praticavo continuamente ogni invenzione, finché alla fine potevo, con la mia bocca, infilare un ago, fare un nodo, fare lavori fantasiosi, ritagliare e fare i miei vestiti».
L’impraticabile diventò possibile, ma non mancavano le difficoltà intorno alla bambina, dovute all’estrema povertà. Tutti i membri della famiglia dovevano lavorare, Sarah non poteva esimersi e doveva cercare di mantenersi con le sue forze. La sua fama varcò i confini del villaggio e arrivò alle orecchie di Emmanuel Dukes, il gestore di una fiera itinerante. I coniugi Biffin gli affidarono Sarah, che si sarebbe esibita come attrazione a pagamento in giro per l’Inghilterra. Aveva 13 anni e per i successivi sedici viaggiò continuamente, salendo sul palco nel freak show di Mr. Dukes insieme ad altre “curiosità umane”, persone con caratteristiche fisiche “particolari”, sfruttate per attirare pubblico pagante e per le quali questi “spettacoli” (se così vogliamo definirli) rappresentavano l’unico modo, seppur triste, per sopravvivere.

Sarah Biffin, “Miniatura di gentildonna”.

Sarah diventò presto molto conosciuta, la chiamavano The Limbles Wonder (“La donna arti”), venne pubblicizzata come “l’ottava meraviglia del mondo” e ritratta come una sirena senza gambe e braccia in un poster che ne promuoveva la partecipazione alla Bartholomew Fair di Londra.
Di recente un suo acquerello è stato venduto all’asta insieme ad un manifesto del 1812 che la descrive con queste parole: «Nata priva di braccia e gambe, ha un aspetto avvenente, ventotto anni ed è alta solo trentasette pollici […], mostra un grande genio. [Biffin] scrive bene, disegna paesaggi, dipinge miniature e molte altre cose sorprendenti, tutte cose che esegue principalmente con LA SUA BOCCA».
Dukes e la moglie le insegnarono a leggere e a scrivere, intanto lei perfezionò l’abilità nel cucito, imparando ad usare le forbici con destrezza; unendo movimenti di bocca e spalla, si cuciva i vestiti ritagliandone i modelli su carta, e riusciva a pettinarsi da sola. Le sue capacità venivano messe in mostra, gli adulti pagavano uno scellino per vederla, il biglietto per bambini e servi costava sei pence; la personalità coinvolgente e simpatica di quella che ormai era una giovane donna fece il resto, calamitando l’attenzione. Dukes decise così di aumentare i profitti e alzò l’asticella, le insegnò a dipingere.
Sotto l’occhio ammirato delle persone, Sarah realizzava paesaggi e ritratti che il pubblico acquistava per tre ghinee l’uno. Agli scettici veniva proposta una scommessa, avrebbero ricevuto mille ghinee se Sarah non fosse riuscita a dipingere, scrivere e cucire. Va da sé che le doti della giovane permisero a Dukes di uscire vincitore da ogni scommessa. Sulla carta il patto prevedeva un’equa divisione degli introiti, ma la ragazza riceveva soltanto cinque sterline all’anno.

L’acquerello “Studio di piume” di Sarah Biffin, venduto per 65.520 sterline nel 2021.

Nel 1808, ad una fiera, il destino le fece incontrare George Douglas, conte di Morton. Il nobile venne folgorato dalla sua bravura, volle accertarsi che non ci fossero inganni, le commissionò un ritratto e, tra una seduta e l’altra, si portava a casa il lavoro per essere sicuro che nessuno a parte la ragazza vi mettesse mano. Convinto, infine, delle abilità straordinarie di Sarah, capì che il talento come artista era l’attrazione principale, non certo la disabilità. Diventò il suo mecenate e ne affidò la formazione all’acquerellista reale William Marshall Craig.
Le lezioni pagate dal conte portarono i loro frutti, le opere della giovane diventarono più accurate, la pennellata delicata era fusa con una tecnica impeccabile. Dopo tanto studio e impegno, Sarah venne ammessa alla Royal Academy of Arts, infrangendo la regola che vietava alle donne l’ingresso nella scuola.
Nel 1816 terminò il contratto con Dukes, cosicché finalmente libera dalle esibizioni nel freaks show poteva dedicarsi soltanto alla pittura. Iniziarono anni di successi, nel 1821 ricevette la medaglia d’argento dell’Accademia Reale come miniaturista, la stessa Accademia e diverse mostre d’arte esposero le sue opere. Il conte di Morton presentò la sua pupilla alle famiglie più in vista del Paese e alla famiglia reale, che chiese a Sarah di realizzare ritratti in miniatura dei suoi membri, tra cui la regina Vittoria e il principe Alberto. Venne chiamata a Bruxelles dove dipinse miniature del principe d’Orange e della principessa Augusta.

Il ritratto della regina Vittoria eseguito da Sarah Biffin.

In patria era ormai un’icona, ma nonostante la fama crescente, veniva ancora trattata come una caricatura, oggetto di scherno. Venne menzionata in diverse opere letterarie dell’epoca, ma nessun riferimento alle sue conquiste vi è ad esempio nella poesia di Thomas Hood La sirena di Margate, dove la si prendeva apertamente in giro; e nessun riconoscimento a lei come persona nemmeno nei romanzi di Charles Dickens Nicholas NicklebyMartin Chuzzlewit La piccola Dorrit.
Sarah sorvolava, sicura di sé, né si offese neanche quando si dimenticarono di portarla a casa alla fine di una serata a teatro. Il custode, in procinto di chiudere, la trovò tranquilla ad aspettare che qualcuno andasse a prenderla. La disavventura forse le insegnò qualcosa, però, visto che assunse un servitore che la portava in braccio ogni volta che doveva spostarsi.
Era alta tre piedi, poco più di 90 centimetri, impossibilitata a camminare. Ci restituisce una descrizione fisica e caratteriale della pittrice il reverendo Edward Boys Ellman: «Una donna dall’aspetto pesante, indossava sempre un turbante ed era sempre seduta su un divano. Il pennello era appuntato a una grande manica a sbuffo che copriva il corto moncone della parte superiore del braccio. Fissava e staccava il pennello con i denti, quando era necessario lavarlo. Quando dipingeva piegava la spalla destra in avanti, quasi a toccare il tavolo. Dichiarava di essere avvantaggiata rispetto a chi ha le braccia, perché sicuramente era più facile dipingere con un pennello corto che con un bastone lungo».

Sarah Biffin, “Ritratto di Edoardo duca di Kent”.

Sarah, figlia di poveri contadini e donna con disabilità, era diventata una donna di successo, le importanti commissioni le fruttarono abbastanza denaro da permetterle di aprire un proprio atelier a Bond Street, nel West End di Londra, dove le persone per una piccola somma potevano entrare per vederla lavorare. Si ritraeva spesso, circondata dagli strumenti del suo mestiere, con il pennello che sbuca dalla manica a sbuffo, pronto per essere afferrato con la bocca per dipingere lavori dettagliati e squisiti. Era l’immagine che voleva trasmettere di se stessa, prima di tutto un’artista.
Oltre che pittrice, era una donna d’affari ambiziosa che non trascurava di pubblicizzarsi sui giornali, “sfruttando” astutamente la propria disabilità per promuoversi e firmando le sue opere con le parole “senza mani” per richiamare l’attenzione degli acquirenti.

Miniature di Sarah Biffin vendute all’asta da Christie’s.

Il 6 settembre 1824 sposò William Wright; una cronaca della cerimonia racconta che lo sposo infilò la fede nuziale in una catena che mise al collo di Sarah. Il marito era un losco individuo che pare sia fuggito con tutti i suoi risparmi. Si ritrovò anche priva della protezione del conte di Morton, deceduto nel 1827, che oltre a garantirle sicurezza finanziaria, dopo che il marito l’aveva lasciata in miseria, era diventato amico e confidente. Senza il suo patrocinio le richieste dei committenti si fecero sempre più rare e iniziò un periodo di peregrinazioni.
Nel 1829 si trasferì a Brighton per eseguire miniature di Maria Fitzherbert, moglie morganatica di re Giorgio IV. Lasciò improvvisamente la città per i debiti contratti e per un po’ continuarono i continui traslochi in fretta e furia da un luogo all’altro per sfuggire ai problemi di insolvenza. Arrivò infine a Liverpool, nel 1841, con la speranza di varcare l’Atlantico e realizzare il sogno americano.
Tirava a campare grazie alla generosità di alcuni sostenitori tra cui il filantropo Richard Rathborne che organizzò una sottoscrizione pubblica per aiutarla; lei stessa scrisse alcune lettere chiedendo supporto economico.
La regina Vittoria le chiese una miniatura del padre, Edoardo duca di Kent, ritratto che ancora si trova nella collezione reale, e la corona le assegnò una pensione di dodici sterline l’anno per potersi mantenere.
Andò incontro agli ultimi anni con una parvenza della vita di prima, malgrado la crescente fragilità fisica e la vista sempre più debole Sarah dipinse miniature fino a pochi giorni prima di morire, il 2 ottobre 1850. Riposa nel cimitero di St James, a Liverpool.
Su quel che rimane del memoriale che contrassegnava la sua tomba si legge: «Pochi sono passati attraverso la valle della vita tanto figli di una sfortunata fortuna quanto la defunta, eppure possessori di doti mentali di tipo non ordinario. Dotata di singoli talenti come artista, migliaia di persone sono state gratificate dalle abili produzioni della sua matita! Mentre la conversazione versatile e i modi piacevoli hanno suscitato l’ammirazione di tutti».

La scultura di Alison Lapper incinta, eseguita da Mark Quinn.

Sarah Biffin è una figura unica negli annali di storia dell’arte che per lungo tempo è stata dimenticata. Oggi le sue opere stanno ottenendo un rinnovato successo e soprattutto nei Paesi anglosassoni vengono collezionate e battute all’asta, come la miniatura autoritratto che nel 2019 è stata aggiudicata da Sotheby’s per 137.500 sterline, una cifra quasi senza precedenti per qualsiasi miniatura del XIX secolo. Un record che ha riacceso i riflettori sulla pittrice e portato all’allestimento della recente mostra Without Hands: the Art of Sarah Biffin, presso Philip Mold and Company a Londra.
La mostra includeva quasi tutti gli autoritratti conosciuti, comprendendo la sua seconda opera più costosa, l’acquerello Studio di piume, venduto per 65.520 sterline nel 2021; quand’era in vita, infatti, le sue nature morte con piume iperrealistiche erano molto ricercate.
L’esposizione ha permesso di rintracciare opere perdute che firmò con il cognome del marito, contribuendo così a completare l’esatta attribuzione della produzione artistica di Sarah.
Come consulente della mostra è stata chiamata Alison Lapper, l’artista contemporanea affetta da focomelia, divenuta famosa per essere stata il soggetto della scultura di Mark Quinn Alison Lapper Pregnant (Alison Lapper Incinta), esposta a Trafalgar Square tra il 2005 e il 2007. «Sembrava trascendere la sua disabilità – ha dichiarato Lapper al “Financial Times” -, sto ancora lottando ora per superare le stesse barriere che Biffin ha dovuto affrontare».
Nata con tutte le probabilità contro, Sarah seppe costruirsi una vita e un lavoro, facendo emergere il suo talento. Oltre un secolo e mezzo dopo la sua morte finalmente viene apprezzata fino in fondo come donna e come artista, capace ancora di ispirare alle persone con disabilità in generale, alle donne con disabilità in particolare, la necessità di perseverare per una reale inclusione.

 

* Il presente testo è già stato pubblicato su «Superando.it», il portale promosso dalla FISH (Federazione Italiana per il Superamento dell’Handicap), e viene qui ripreso, con lievi adattamenti al diverso contesto, per gentile concessione.

 

Ultimo aggiornamento il 12 Gennaio 2023 da Simona