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Tanti gli elementi apprezzabili del documentario “Con le nostre mani”

Un linguaggio semplice e appropriato nel trattare i temi legati alla disabilità e la scelta, coraggiosa e riuscita, di raccontare la vita di una coppia di persone disabili in età avanzata in modo onesto e non pietistico. Sono questi alcuni degli elementi apprezzabili di “Con le nostre mani”, il documentario con il quale il regista Emanuel Cossu ha voluto narrare la storia dei suoi genitori, Anna Maria Loi e Giovanni Cossu, e che ha già conseguito un importante riconoscimento.

La locandina del documentario “Con le nostre mani”, di Emanuel Cossu, ritrae i protagonisti dell’opera, Anna Maria Loi e Giovanni Cossu, mentre, all’imbrunire, guardano in lontananza.

«Siamo tutti uguali, ognuno ha il suo ritmo, tu corri e correrai alla tua velocità, io non corro, però se devo andare da una parte, a bellu a bellu [in sardo: pian pianino, N.d.R.], come le lumache, ci vado lo stesso». Sono parole di Anna Maria Loi, protagonista, assieme a suo marito, Giovanni Cossu, del documentario “Con le nostre mani” di Emanuel Cossu, regista e figlio della coppia. Ed è proprio la loro vita di coppia il tema portante dell’opera. Classe 1953 lei e 1944 lui, sposati da trentaquattro anni, Anna e Giovanni vivono nel Sud della Sardegna. Disabili entrambi sin dai primi anni di vita, riescono a mantenere una certa autonomia utilizzando stampelle e sedie a rotelle, ed abitando in una casa costruita tenendo conto delle loro caratteristiche e delle loro esigenze. Figli di un’epoca in cui la poliomielite feriva i corpi e per alcuni si rivelava mortale, hanno entrambi dovuto lottare contro una società respingente per trovare un proprio posto nel mondo e essere trattati con rispetto. Il racconto di sé è inframezzato da gesti quotidiani condivisi – svegliarsi, fare colazione, rifare il letto, cucinare e pranzare assieme –, come in un gioco di sponda che scaturisce da una collaudata complicità.

Nell’infanzia Anna ha vissuto in un istituto, «non perché, come molta gente insinua, fossi somara, no, questo lo voglio ribadire, ero intelligentissima, solo che a scuola non mi hanno voluto», ci tiene a precisare. Il buio di quel periodo lo porta dentro ancora oggi che ha sessantacinque anni ed è riuscita a realizzarsi mettendo su casa con Giovanni, crescendo e facendo studiare il loro figlio, acquisendo consapevolezza del proprio valore e dei propri diritti anche come donna. Tanto da rispondere a coloro che erano venuti in processione a vedere se suo figlio appena nato avesse le gambe sane «che le aveva tutte e tre normali, e non c’erano problemi». Anche il percorso di Giovanni non è stato semplice, avendo dovuto imporsi giovanissimo per non finire anch’egli in istituto e per poter studiare contro il volere della famiglia e della scuola, nonché facendo molti lavori prima di diventare sarto. Mentre cuce racconta che nel suo rione la poliomielite aveva colpito tantissimi suoi compagni, alcuni dei quali erano morti, mentre gli altri erano finiti in istituti. Lui è riuscito a salvarsi perché la sua disperazione lo ha portato a disobbedire. Le suore, che gestivano il Cottolengo di Bosa (Oristano), passavano a casa sua «per farmi innamorare di loro», scherza amaramente. Costoro descrivevano il Cottolengo come un luogo dove si mangia bene e si studia, lusinghe a cui lui, a differenza dei suoi genitori, non ha mai creduto, e che ha rifiutato con determinazione assieme alle caramelle con cui pensavano di abbindolarlo.

Anna e Giovanni si sono conosciuti ed hanno iniziato il loro percorso assieme nella Comunità di Sestu, un comune della città metropolitana di Cagliari. Come altre sparse un po’ in tutta Italia, anche la Comunità di Sestu, di cui Giovanni è stato fondatore, si ispira alla più nota Comunità di Capodarco di Fermo (nelle Marche), che negli anni ’70 è stata una realtà di riferimento per le persone con disabilità che volevano sfuggire all’istituzionalizzazione, responsabilizzarsi con l’autogestione, ed imparare un mestiere che avrebbe consentito loro mantenersi. Per non vivere di assistenzialismo e beneficenza. Per progettare quel futuro che anche Anna e Giovanni hanno saputo costruire con le proprie mani, per parafrasare il titolo del documentario.

Un fotogramma del documentario “Con le nostre mani”, di Emanuel Cossu, nel quale Giovanni Cossu fa un massaggio al collo della moglie Anna Maria Loi.

La cinepresa del figlio ritrae i genitori con delicatezza mentre ripercorrono con orgoglio ciò che hanno vissuto, ed affrontano con dignità le nuove necessità che l’avanzare dell’età può portare con sé. Come quella, mai avuta prima, di doversi servire di un aiuto domestico e di ripensare la propria autonomia in quegli spostamenti che ora non sono più in grado di fare da soli. Infatti Anna e Giovanni vorrebbero recarsi a Bosa, il comune che ha dato i natali a Giovanni, e in cui risiedono i suoi parenti che non vede da tempo. Il viaggio è un altro dei temi trattati nel documentario. Lo è in senso letterale: quello che i protagonisti riusciranno a realizzare a Bosa accompagnati dal figlio. Ma lo è anche in senso metaforico, nel senso che il documentario stesso è un viaggio attraverso le loro vite. Il viaggio ha poi anche un ritmo, non solo il ritmo nel procedere di cui parla la stessa Anna nel passaggio già citato, ma anche quello del Bolero di Ravel che scandisce la narrazione sin dai primi minuti.

Nel novembre 2021 “Con le nostre mani” è stato premiato al Social Film Festival ArTelesia di Benevento per la “Miglior regia di un’anteprima mondiale”. «“Con le nostre mani” è un documentario su mia madre e mio padre, Anna e Giovanni – spiega Emanuel Cossu, su «SH magazine» –. Ne hanno dovute sopportare tante, negli anni, e non hanno mai mollato. Purtroppo i tempi del cinema spesso son diversi da quelli della vita, e babbo ci ha lasciato pochi mesi fa, senza sapere ancora della prima proiezione pubblica del loro documentario. Prima di andarsene l’ha visto ed era molto orgoglioso e soddisfatto. E io son già contento così».

A parere di chi scrive, il documentario di Emanuel Cossu contiene molti elementi apprezzabili. Un linguaggio semplice e appropriato nel trattare i temi legati alla disabilità. L’uso della lingua sarda che affiora in piccoli passaggi come tratto di un’appartenenza ai luoghi. La circostanza, non scontata, che siano le stesse persone con disabilità a parlare di sé. E, ultimo elemento, ma non per importanza: la scelta, coraggiosa e riuscita, di narrare la vita di una coppia di persone disabili in età avanzata in modo onesto e non pietistico. (Simona Lancioni)

 

Nota: si ringrazia Carla Fonzo per la segnalazione.

Nota sul regista: Emanuel Cossu è nato a Cagliari nel 1984, si è laureato in Lettere Moderne all’Università di Cagliari, si è diplomato in Regia Cinematografica nella scuola di cinema Bande a Part di Barcellona, ha frequentato il Master di Specializzazione in Teoria e Tecnica di Sceneggiatura e Regia del Giffoni Film Festival di Bologna, e, sempre a Bologna, si è laureato in Semiotica del Cinema e dei Nuovi Media. Attualmente lavora come regista e sceneggiatore.

Nota sul film: “Con le nostre mani” è stato prodotto nel 2021 dalla casa di produzione Karel di Cagliari ed è distribuito da Emera Film. La fotografia è di Luca Melis, mentre le musiche sono di Marco Rocca. Esso è stato realizzato con il contributo del Ministero della Cultura, della Regione Sardegna e della Sardegna Film Commission. L’opera ha una durata di 51 minuti ed il trailer ufficiale è disponibile a questo link.

 

Ultimo aggiornamento il 9 Aprile 2024 da Simona