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Trent’anni dalla Legge 104: il senso di un anniversario

di Salvatore Nocera*

Il 5 febbraio, si è clebrato il 30° anniversario della Legge 104/1992, che ha segnato una serie di “prime volte” per i diritti delle persone con disabilità. «Ma ha senso – scrive Salvatore Nocera – celebrare la ricorrenza di una Legge? Se si tratta di una banale commemorazione, certamente no, se però si ricostruisce il clima culturale e politico che ad essa ha dato origine, allora sì, servendo a far conoscere alle nuove generazioni di studenti e docenti come nasce una Legge dal basso e come cresce, tra buone e cattive applicazioni, e gli interventi correttivi della Magistratura e del Legislatore».

Così manifestavano in piazza le persone con disabilità negli Anni Settanta, ben prima della Legge 104/1992 (foto dell’Archivio UILDM Nazionale).

Il 5 febbraio è stato ricordato il trentesimo anniversario dell’approvazione della Legge 104/1992, Legge sui diritti delle persone con disabilità. Ma ha senso celebrare la ricorrenza di una Legge? Se dovesse ridursi ad una banale commemorazione, certamente no, se però si ricostruisce il clima culturale e politico che ha dato origine ad essa, allora sì, poiché serve a far conoscere alle nuove generazioni di studenti e docenti come nasce una Legge dal basso e come essa cresce con l’applicazione, le cattive applicazioni e gli interventi correttivi della Magistratura e del Legislatore.

Quando la Legge 104 fu approvata nel 1992, erano già trascorsi ventiquattro anni da quella formidabile esplosione di desideri, aspirazioni, rivendicazioni, contestazioni sino ad allora represse o che non avevano avuto fino alla prima metà degli Anni Sessanta un clima culturale e politico che le avesse potuto far divenire una sensibilità ormai matura nella società. Sino ad allora, infatti, le persone con disabilità in Italia, come nel resto del mondo, continuavano quasi esclusivamente a frequentare le scuole speciali per soli “handicappati”, a lavorare, quei pochi che vi riuscivano, nei “laboratori protetti” ad invecchiare, se in situazione di gravità nei “centri diurni residenziali per handicappati “, a morire nei “cronicari”, chiamati “case di riposo per handicappati”.

Il terremoto che provocò un vero e proprio tsunami fu quanto accadde negli Stati Uniti con le rivolte studentesche all’Università californiana di Berkeley, stimolate dalle letture del filosofo Herbert Marcuse, ciò che poi si abbatté in Europa con il “Maggio francese” del Sessantotto, dilagando quindi anche nel nostro Paese, con le contestazioni studentesche che portarono all’occupazione delle scuole e delle università, sovvertendo la stagnante cultura politica prima imperante.
L’Italia, per altro, non era impreparata a questa ondata di novità: già le tre grandi Associazioni “storiche” impegnate sulla disabilità (dette così perché nate dopo la prima guerra mondiale, e che recentemente sarebbero state il nucleo iniziale della FAND-Federazione tra le Associazioni Nazionali di Persone con Disabilità, ovvero l’ANMIC-Associazione Nazionale Mutilati e Invalidi Civili, l’allora UIC– Unione Italiana Ciechi e l’ENS-Ente Nazionale Sordi), avevano lottato per migliorare le condizioni economiche e lavorative delle persone con disabilità, ottenendo proprio nel ’68 l’approvazione della Legge 482 sul diritto alla riserva di percentuali di posti per le assunzioni di lavoratori con disabilità (oltre trent’anni dopo sostituita dalla Legge 68/1999 sul “collocamento lavorativo mirato”). Fu allora che si gettarono le basi per far sì che venisse promulgata la prima Legge Quadro sull’assistenza economica delle persone con disabilità (Legge 118/1971).
A livello politico l’Italia era attraversata dalle lotte per l’affermazione dei diritti dei lavoratori, che avrebbero portato nel 1970 allo Statuto dei Lavoratori, nonché dalla mobilitazione contro la guerra in Vietnam.

Una realizzazione grafica dedicata alla Legge 104 reca la scritta “Legge 104” ed il simbolo della persona disabile in sedia a rotelle.

In questa temperie politica, le masse studentesche furono fortemente sollecitate, ciò che portò al movimento della “contestazione studentesca” che chiedeva un rinnovamento della scuola.
A tale rinnovamento contribuirono le tre forze politico-culturali che avevano dato vita alla nostra Costituzione Repubblicana del 1948 e cioè: le forze di sinistra, rappresentate dalla CGIL-Scuola e dall’MCE (Movimento di Cooperazione Educativa); gli ambienti di ispirazione cristiana, come le comunità di base, ispirate da don Lorenzo Milani, con  la sua famosa Lettera a una professoressa. La Chiesa Cattolica ufficiale, invece, rimaneva per il momento defilata, anche perché moltissimi istituti religiosi maschili e femminili gestivano proprio le citate scuole-speciali, per soli “handicappati”; e infine, il Partito Radicale, con un docente in carrozzina quale Bruno Tescari, figura di grande impegno politico e culturale, autore di numerosi libri contro corrente, rivendicanti la qualità della  vita delle persone con disabilità, da liberare non solo dalle barriere architettoniche, ma soprattutto dalle tradizionali convenzioni sociali e religiose che le vedevano segregate in ruoli del tutto passivi, oggetti esclusivamente di pietismo.
Le forze di sinistra, dunque, rivendicavano l’eguaglianza tra tutti gli studenti nelle scuole comuni, quelle di ispirazione cristiana si appellavano al superamento delle discriminazioni tra studenti figli dei ricchi e figli dei poveri deprivati anche culturalmente, contrarie ad una lettura non tradizionale dei Vangeli; quelle “radicali”, infine, rivendicavano il diritto soggettivo alla libertà da istituzioni segreganti come le scuole speciali. Tutte avevano in comune la richiesta di riforma della scuola, specie dell’obbligo, già indicata nella riforma della scuola media del 1963, ma ancora scarsamente  attuata.
Sostennero questo movimento anche riviste nate allora, come «Handicap & Scuola», fondata dal giornalista Mario Tortello, nonché Associazioni di persone con disabilità di “nuova” formazione come l’ANFFAS (Associazione Nazionale Famiglie di Persone con Disabilità Intellettiva e/o Relazionale), l’AIAS (Associazione Italiana Assistenza Spastici), l’AIPD (Associazione Italiana Persone Down), l’AISM (Associazione Italiana Sclerosi Multipla), la FIADDA (Famiglie Italiane Associate per la Difesa dei Diritti degli Audiolesi), la UILDM (Unione Italiana Lotta alla Distrofia Muscolare), il MAC (Movimento Apostolico Ciechi) e altre, al punto che i genitori degli alunni delle scuole speciali e gli operatori delle stesse promossero un deflusso crescente degli alunni stessi verso le scuole comuni: dal ’68 al ’70, infatti, “transitarono” in tal modo migliaia di alunni della scuola elementare e media. Va tenuto presente, per altro, che ciò era del tutto “fuori-legge”, poiché la normativa allora vigente imponeva agli alunni con disabilità l’obbligo di frequentare le scuole speciali. Il Governo si vide quindi costretto ad emanare un Decreto Legge, nella cui conversione (la citata Legge 118/71), fu introdotto l’articolo 28, che legittimava, per la prima volta, l’adempimento dell’obbligo scolastico per gli alunni con disabilità nelle scuole comuni, purché si trattasse di alunni in situazione di disabilità non grave. Ne rimanevano pertanto esclusi quelli in situazione di gravità, oltre ai ciechi e ai sordi ritenuti “gravi”. E tuttavia, il movimento per l’“inserimento scolastico” era ormai divenuto inarrestabile, cosicché l’allora sottosegretaria di Stato, Franca Falcucci istituì una commissione di studio che elaborò un documento, discusso in Parlamento nel 1974, il quale divenne la “Carta fondativa dell’integrazione scolastica italiana”, sia per i princìpi pedagogici che per quelli organizzativi ivi formulati.
Da quel documento nacque l’Ufficio Studi e Programmazione presso il Ministero della Pubblica Istruzione e fu formato un nucleo di ispettori ministeriali esperti proprio in questo campo. Sembra doveroso ricordare, tra gli altri, gli ispettori Aldo ZelioliLaura Serpico PersicoPiero RolleroFranco Fusca e Sergio Neri, allora attivissimi. Questo gruppo iniziale di ispettori, cresciuto sino a fine secolo di numerose decine, unitamente alle Università – tra le quali spiccava Bologna, con il professor Andrea Canevaro, ancor oggi punto di riferimento culturale fondamentale -, avviarono il movimento inclusivo scolastico, con consulenze alle scuole e un programma nazionale di formazione di dirigenti scolastici e docenti. Immediatamente dopo, infatti, a seguito del rifiuto di una scuola ad accettare l’iscrizione di un alunno cieco, confermato invece come legittimo dalla Corte Costituzionale, il Parlamento votò nel 1976 la Legge 360, che riconosceva agli alunni ciechi il diritto di iscriversi alle scuole comuni, ferma restando la possibilità di frequentare quelle speciali.
L’anno successivo, quindi, il Parlamento estese tale diritto, copiando letteralmente la medesima formula normativa, a tutti gli alunni con disabilità, sempre nelle scuole dell’obbligo, cioè elementari e medie, con la Legge 517/1977, che dettava anche i princìpi di programmazione didattica e organizzativa per i quali non si parlò più di mero inserimento, ma di vera integrazione, dal momento che non doveva intervenire solo la scuola, tramite la pedagogia e la didattica, ma anche gli Enti Locali e le USL, che dovevano fornire le proprie prestazioni professionali e finanziarie in modo coordinato, per assicurare la realizzazione del diritto allo studio degli alunni con disabilità.

Un’elaborazione grafica dedicata ai concetti di “inclusione”, “integrazione”, “segregazione” ed “esclusione”. «La cultura dell’inclusione – scrive Salvatore Nocera -, merita una continua attenzione e manutenzione, non solo da parte degli interessati e degli esperti, ma di tutti, perché è un patrimonio reale del nostro Paese».

Si arrivò quindi al 1982, quando furono previsti i posti di “sostegno” a partire dalla scuola dell’infanzia e al 1987, quando a seguito della famosa Sentenza 215/1987 della Corte Costituzionale, che in modo diametralmente opposto a quella precedentemente citata, riconobbe finalmente il diritto pieno e incondizionato alla frequenza anche delle scuole superiori.
A seguito dei princìpi sanciti in tale Sentenza, che personalmente denominai allora la “Magna Carta dell’Integrazione”, furono elaborati i princìpi che, contestualmente a quelli riguardanti altri àmbiti della vita delle persone con disabilità, diedero origine all’approvazione nel 1992 della Legge Quadro 104, che celebriamo annualmente il 5 febbraio, data storica dell’approvazione di quella che fu una fondamentale riforma della scuola e non solo. In essa, infatti, per assicurare il coordinamento dei servizi necessari a realizzare il diritto all’integrazione scolastica (servizi che avrebbero dovuto essere forniti da tutti gli Enti Territoriali necessari), furono introdotti, agli articoli 13 e 37, gli “accordi di programma” che , promossi da Comuni, Province e Regioni, si configurano come un vero e proprio contratto pubblico dal quale nascono non solo diritti e obblighi tra i firmatari, ma anche diritti per le famiglie degli alunni, perseguibili pure tramite il ricorso alla Magistratura. E quest’ultima, a partire dalla Magistratura costituzionale, di legittimità (Cassazione e Consiglio di Stato), fino a quella di merito (Tribunali Civili, Penali e Amministrativi) è intervenuta con grande frequenza per riaffermare tutti i diritti relativi alle prestazioni necessarie per la realizzazione del diritto allo studio degli alunni con disabilità.
Dapprima oggetto delle Sentenze sono stati prevalentemente il numero delle ore di sostegno e quelle di assistenza per la comunicazione; successivamente, specie dopo la ratifica della Convenzione ONU sui Diritti delle Persone con Disabilità, avvenuta nel nostro Paese con la Legge 18/2009e con l’introduzione del principio di “inclusione”, le Sentenze stesse stanno riguardando sempre più la qualità dell’inclusione scolastica e sociale, anche con il riconoscimento del diritto al “Progetto Individuale di Vita”, sancito  prima dalla Legge 162/1998 e poi dall’articolo 14 della Legge 328/2000 di riforma sociale, nonché richiamato ora espressamente anche nel Decreto Legislativo 66/2017 sull’inclusione scolastica. Infatti, specie a seguito delle prime e fondamentali sentenze ottenute in particolare dall’ANFFAS, il Progetto di Vita è divenuto fonte di diritti nei confronti non solo dei Comuni di residenza degli interessati, ma anche nei confronti di tutti gli Enti Territoriali che hanno l’obbligo di contribuire a realizzarli, anche in coprogettazione con i soggetti del Terzo Settore, come sancito dall’articolo 56 del Decreto Legislativo 117/2017, rafforzato dalla Sentenza 131/2020 della Corte Costituzionale.
Grazie inoltre all’impegno specie della FISH (Federazione Italiana per il Superamento dell’Handicap), che con la sua nascita nel 1994 ha cominciato a riunire le Associazioni di persone con disabilità e dei loro familiari nate tra la fine degli Anni Cinquanta e gli Anni Sessanta, sono stati emanati nel 2017 numerosi Decreti Delegati che migliorano ulteriormente la qualità dell’inclusione scolastica, anche se purtroppo devono ancora essere in gran parte attuati.

A partire dagli inizi del nuovo millennio si sono avuti molti tagli alla spesa delle scuole pubbliche e al numero degli ispettori ministeriali esperti nell’inclusione scolastica. Fondamentale, comunque, è stato l’impegno per la qualità dell’inclusione degli ispettori Raffaele Iosa e in seguito dell’ispettore Raffaele Ciambrone, attivissimi a tutt’oggi nell’approfondimento di questa cultura  e organizzazione scolastica inclusiva.
E da ultimo, ma non ultimo, a seguito dell’impulso dato da Giampiero Griffo – che fu tra quanti contribuirono per l’Italia alla formulazione della Convenzione ONU nel 2006 e che oggi è coordinatore del Comitato Tecnico-Scientifico dell’Osservatorio Nazionale sulla Condizione delle Persone con disabilità –, oltreché con il sostegno culturale e politico delle Federazioni FISH FAND, è stata approvata poco prima del Natale 2021 la Legge Delega in materia di disabilità (Legge 227/2021), che dovrà  produrre nei prossimi due anni i numerosi Decreti Delegati, concernenti tutti i servizi  necessari per realizzare una migliore qualità della vita delle persone con disabilità.
Di ciò  si è ampiamente parlato anche durante la recente sesta Conferenza Nazionale sulle Politiche della Disabilità, poco dopo la quale la FISH ha pure presentato una Proposta di Legge, per superare una serie di lacune lamentate nella normativa sull’inclusione scolastica.
E a proposito dello stato attuale dell’inclusione scolastica in Italia, a livello pedagogico, didattico e normativo, esso è documentato in un ampio volume pubblicato alla fine del 2020 dal Centro Studi Erickson, dal titolo L’inclusione scolastica in Italia. Percorsi, riflessioni e prospettive future, ora in fase di traduzione in inglese.

Ho voluto scrivere questa breve storia per ricordare a me stesso e far conoscere a chi non sa quanta fatica abbia fatto, e quanta ne dovrà continuare a fare col mutare della società, la cultura dell’inclusione, per cominciare a realizzarsi in Italia a livello quantitativo e soprattutto qualitativo. Una cultura quasi unica al mondo nella sua realtà, vista la sua diffusione generalizzata nel nostro Paese, che merita però una continua attenzione e manutenzione, non solo da parte degli interessati e degli esperti, ma di tutti, perché è un patrimonio reale del nostro Paese.

 

* Presidente del Comitato dei Garanti della FISH (Federazione Italiana per il Superamento dell’Handicap). Il presente testo è già stato pubblicato su Superando.it, il portale promosso dalla FISH, e viene qui ripreso, con lievi adattamenti al diverso contesto, per gentile concessione.

 

Ultimo aggiornamento il 9 Febbraio 2022 da Simona