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Violenza di genere, l’ANCI integri la Relazione sulla vittimizzazione secondaria

Il 29 luglio la vicepresidente dell’ANCI, Maria Terranova, ha firmato la diffusione a tutti i Comuni Italiani della Relazione su “La vittimizzazione secondaria delle donne che subiscono violenza e dei loro figli nei procedimenti che disciplinano l’affidamento e la responsabilità genitoriale”, approvata dalla Commissione parlamentare di inchiesta sui femminicidi il 20 aprile scorso. Un’iniziativa apprezzabile e tuttavia chiediamo all’ANCI di accompagnare l’invio con una comunicazione integrativa nella quale vengano illustrate le peculiari forme di vittimizzazione secondaria a cui sono esposte le donne con disabilità nei procedimenti che disciplinano l’affidamento dei figli e la responsabilità genitoriale, giacché esse non sono incluse nella Relazione di cui si tratta.

Grandi gocce di pioggia, cadendo sull’acqua, la increpano e sollevano schizzi (foto di Maria Inge su Unsplash).

Con l’espressione “vittimizzazione secondaria” si designa quel fenomeno per cui le donne vittime di violenza subiscono una seconda “vittimizzazione”, ossia una seconda aggressione, che le rende di nuovo vittime, da parte delle Istituzioni. Lo scorso 20 aprile, la Commissione parlamentare di inchiesta sul femminicidio e ogni altra violenza di genere, istituita presso il Senato della Repubblica, ha approvato all’unanimità la Relazione su “La vittimizzazione secondaria delle donne che subiscono violenza e dei loro figli nei procedimenti che disciplinano l’affidamento e la responsabilità genitoriale”. Come Centro Informare un’h, nel dare la notizia dell’approvazione, avevamo anche rilevato come in essa la variabile della disabilità delle madri vittime di violenza non sia stata considerata, e come uno dei passaggi contenuti nella stessa lasci intravvedere un pregiudizio nei confronti della capacità genitoriale delle donne con disabilità psichiatrica (come meglio specificato dall’analisi disponibile a questo link). Ciò, è importante evidenziarlo, è in contrasto con la Convenzione di Istanbul (ovvero Convenzione del Consiglio d’Europa sulla prevenzione e la lotta alla violenza contro le donne e alla violenza domestica ratificata dall’Italia con la Legge 77/2013), che all’articolo 18 stabilisce che gli Stati firmatari accertino che le misure adottate in materia di protezione e sostegno alle vittime «mirino ad evitare la vittimizzazione secondaria», e «soddisfino i bisogni specifici delle persone vulnerabili, compresi i minori vittime di violenze e siano loro accessibili» (grassetti miei in queste e nelle successive citazioni testuali). Ciò è altresì in contrasto con il Piano strategico nazionale sulla violenza maschile contro le donne 2021-2023, approvato il 17 novembre 2021 dal Dipartimento per le Pari Opportunità della Presidenza del Consiglio dei Ministri che annovera, tra le sue finalità, anche «la tutela delle […] vittime di discriminazioni multiple» (pag. 1), e tra i princìpi ispiratori, quelli dell’inclusione, nella prospettiva di considerare le vulnerabilità e le discriminazioni delle vittime, e dell’intersezionalità, giacché la parità di genere va considerata in rapporto a tutte le possibili discriminazioni (pag. 2).

Ebbene, il 29 luglio la vicepresidente dell’ANCI (Associazione Nazionale Comuni Italiani), Maria Terranova, ha firmato la diffusione a tutti i Comuni Italiani della suddetta Relazione. Nel sito dell’ANCI Lombardia, che ha divulgato la notizia, si legge: «La relazione è un documento che approfondisce la specificità dei casi in cui i figli minorenni che rifiutano incontri con il padre, anche quando risulta in ipotesi responsabile di episodi di violenza domestica, vengano comunque sottratti alle madri con l’uso della forza pubblica e fornisce indicazioni utili anche per gli operatori comunali, a partire dai servizi sociali e dagli eventuali servizi specifici contro la violenza sulle donne. Con l’approvazione della relazione sulla Vittimizzazione Secondaria facciamo già un primo passo per un’analisi specifica di alcune procedure che vengono schematizzate, attuandole in automatico senza prevedere i risvolti traumatici che possono scaturire da azioni di forza usate su chi ha chiesto aiuto per uscirne».

Apprezziamo l’iniziativa dell’ANCI, e riconosciamo l’importanza di dare massima divulgazione a documenti fondamentali – come la Relazione in questione – per descrivere e contrastare efficacemente la violenza contro le donne. E tuttavia preoccupa che il documento arrivi ai Comuni con le lacune evidenziate riguardo alle donne con disabilità vittime di violenza. Non si tratta di sottigliezze. Le peculiari caratteristiche che può assumere la vittimizzazione secondaria nelle donne con disabilità sono efficacemente illustrate da Rosalba Taddeini e Flavia Landolina, che sono rispettivamente la responsabile dell’Osservatorio nazionale sulle violenze contro le donne con disabilità dell’Associazione Differenza Donna, e una tirocinante psicologa della medesima Associazione. In una nota informativa del 10 giugno scorso, le due operatrici spiegano che, stando ai dati raccolti dall’Osservatorio, nel 2021 le donne con disabilità hanno costituito il 5% delle donne accolte dai centri gestiti dall’Associazione, sia sul territorio laziale che campano (123 su 2411), e che la pandemia ha portato ad un incremento delle richieste d’aiuto da parte di queste donne del 36% (90 donne nel 2020 contro le 123 del 2021).

Nella loro esperienza sul campo Taddeini e Landolina hanno rilevato che le donne con disabilità «sono più soggette a vittimizzazione secondaria nel momento in cui denunciano la violenza subita o nei procedimenti per l’affidamento dei figli. Soprattutto riguardo all’affidamento dei propri figli le discriminazioni subite dalle donne con disabilità sono molteplici e sono imputabili non solo ai pregiudizi del personale dei servizi, ma anche al fatto che il ricatto sui figli è molto presente nelle relazioni violente ed è utilizzato dal marito/compagno violento come uno strumento per mantenere un potere ed agire un controllo sulla donna stessa». «[N]ei casi di denuncia per maltrattamento, quando la donna con disabilità e i minori vengono collocati presso una casa famiglia, la madre è sempre sottoposta ad una valutazione rispetto alle capacità genitoriali che non tiene conto delle sue fragilità. L’impiego di parametri che non soppesano le caratteristiche della donna e le sue difficoltà, e che sono costruiti con indicatori standardizzati ed improntati ad una cultura patriarcale, fa sì che la valutazione abbia sempre un esito negativo e che la donna sia esposta ad una ulteriore vittimizzazione secondaria», spiegano ancora le due operatrici. «Circa il 70% delle donne con disabilità che arrivano ai nostri Centri Antiviolenza, alle Case Rifugio o ai nostri Codici Rosa presso gli ospedali, hanno una difficoltà cognitiva/intellettiva e psichiatrica – aggiungono –, e sono quelle a più alto rischio di incorrere nel trattamento che abbiamo descritto senza che venga fatta un’adeguata valutazione che consideri sia le difficoltà che le capacità, e senza prendere in considerazione di fornire loro i sostegni necessari ad esercitare il diritto di essere madri e, contemporaneamente, riconoscere al figlio il diritto di stare con la donna che lo ha messo al mondo. […] Quasi la metà delle donne con disabilità accolte nei Centri Antiviolenza ha figli. […]  L’esperienza maturata nella nostra Associazione ci ha portato a constatare che le donne con disabilità cognitiva, intellettiva e psichiatrica certificata siano accompagnate sino al parto, ma i loro figli vengano resi adottabili sin dalla nascita. Invece di essere supportate nelle loro fragilità, queste donne sono costrette a tornare a casa senza i propri figli, che vengono subito dichiarati adottabili senza una reale motivazione, visto che, come detto, non vengono valutate le capacità genitoriali oggettive e il bambino viene immediatamente affidato ai servizi».

La circostanza che nella Relazione della Commissione sul femminicidio le informazioni sopracitate non siano incluse è un fatto gravissimo, ed è esso stesso una forma di discriminazione istituzionale e sistemica. Per questi motivi il Centro Informare un’h chiede all’ANCI di accompagnare l’invio della Relazione ai Comuni Italiani con una comunicazione integrativa nella quale vengano illustrate le peculiari forme di vittimizzazione secondaria a cui sono esposte le donne con disabilità nei procedimenti che disciplinano l’affidamento dei figli e la responsabilità genitoriale. A tal fine il Centro è disponibile a offrire la più ampia collaborazione. Riteniamo che comunicazione integrativa non cancelli la grave lacuna, ma possa contribuire a ridurre il danno che da essa scaturisce.

Simona Lancioni
Responsabile di Informare un’h – Centro Gabriele e Lorenzo Giuntinelli di Peccioli (Pisa)

 

Nota: si ringrazia Edvige Invernici per la segnalazione.

 

Vedi anche:

ANCI – Associazione Nazionale Comuni Italiani.

Simona Lancioni, Violenza, le donne con disabilità e la vittimizzazione secondaria, «Informare un’h», 1 giugno 2022.

Rosalba Taddeini e Flavia Landolina, Le donne con disabilità e le forme della vittimizzazione secondaria, «Informare un’h», 10 giugno 2022.

Sezione del centro Informare un’h dedicata al tema “La violenza nei confronti delle donne con disabilità”.

Sezione del centro Informare un’h dedicata al tema “Donne con disabilità”.

 

Ultimo aggiornamento il 18 Agosto 2022 da Simona