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Servizi per la salute sessuale e riproduttiva preparati ad accogliere donne con disabilità

«Oggi sono sposata e ho due figli, ma se ho una famiglia lo devo solo a me stessa. Quando da ragazza esternavo ai medici il mio desiderio di avere un bambino, cercavano sempre di scoraggiarmi. Dicevano che non era il caso, che non ce l’avrei mai fatta e gestire un neonato da sola. Io rispondevo che alle cure materiali avrebbe potuto sopperire un’altra persona e che io avrei messo l’amore e la presenza. E così è stato».
Rosaria Duraccio, sociologa e attivista con disabilità (testimonianza contenuta in Sara Ficocelli, Storie di donne con disabilità e tanto coraggio: “La diversità è solo negli occhi di chi guarda, «la Repubblica», 20 marzo 2021).

 

Nonostante sia sancito dalla Convenzione ONU sui diritti delle persone con disabilità, nel nostro Paese l’accesso ai servizi per la salute sessuale e riproduttiva delle ragazze e delle donne con disabilità non è ancora garantito. Partendo da questo dato sconfortante abbiamo pensato fosse utile realizzare un repertorio dei servizi per la salute sessuale e riproduttiva preparati ad accogliere donne con disabilità. Crediamo che conoscere le esperienze virtuose sia importante per creare una consapevolezza dei diritti, ed anche perché può far venire la voglia di replicarle.

 

Una donna in sedia a rotelle incinta.

La Convenzione ONU sui diritti delle persone con disabilità (ratificata dall’Italia con la Legge 18/2009) riconosce che «le persone con disabilità hanno il diritto di godere del migliore stato di salute possibile, senza discriminazioni fondate sulla disabilità», ed impegna gli Stati, tra le altre cose, a «fornire alle persone con disabilità servizi sanitari gratuiti o a costi accessibili, che coprano la stessa varietà e che siano della stessa qualità dei servizi e programmi sanitari forniti alle altre persone, compresi i servizi sanitari nella sfera della salute sessuale e riproduttiva e i programmi di salute pubblica destinati alla popolazione». La stessa Convenzione precisa anche che l’accesso ai servizi sanitari deve tener conto delle «specifiche differenze di genere» (disposizioni enunciate nell’articolo 25 in tema di Salute, grassetti nostri nella presente e nelle successive citazioni testuali). Il motivo per cui nella Convenzione ONU sono state introdotte queste disposizioni è che il diritto alla salute delle persone con disabilità, e delle donne con disabilità in particolare, non è ancora garantito.

Che l’accesso ai servizi per la salute sessuale e riproduttiva delle ragazze e delle donne con disabilità non sia garantito lo ha rilevato anche il Comitato ONU sui Diritti delle Persone con Disabilità nelle sue Osservazioni Conclusive al primo rapporto dell’Italia sull’applicazione della già menzionata Convenzione ONU (del 2016). In specifico il Comitato ONU esprime preoccupazione «per la mancanza di accessibilità fisica e delle informazioni relative ai servizi per la salute sessuale e riproduttiva, includendo la discriminazione e gli stereotipi, in particolare nei confronti delle donne e delle ragazze con disabilità» (punto 61), e raccomanda che venga garantita «l’accessibilità ai presidi e alle attrezzature, alle informazioni e alle comunicazioni relative ai servizi di salute sessuale e riproduttiva e di prevedere la formazione del personale sanitario sui diritti delle persone con disabilità, in stretta collaborazione con le associazioni rappresentative delle persone con disabilità, e in particolare delle donne con disabilità» (punto 62).

Il tema è trattato anche nel Secondo Manifesto sui diritti delle Donne e delle Ragazze con Disabilità nell’Unione Europea (adottato dall’Assemblea Generale del Forum Europeo sulla Disabilità nel 2011), che dedica ai diritti sessuali e riproduttivi un intero paragrafo (il paragrafo 8). Esso rileva come la società in generale, ed in particolare i familiari, abbiano considerato le donne con disabilità come asessuate, inadatte a vivere con un partner e ad essere madri, e le abbiano sottoposte ad un controllo rigoroso e repressivo dei loro bisogni sessuali; ciò rende necessario realizzare seminari di formazione sui diritti sessuali e riproduttivi delle donne e delle ragazze con disabilità, sia per loro, che per le loro famiglie (punto 8.2). In un passaggio successivo si legge: «la conseguenza del limitato accesso e controllo che le adolescenti e le donne con disabilità hanno della propria sessualità, è che esse diventano vulnerabili allo sfruttamento sessuale, alla violenza, alle gravidanze indesiderate e alle malattie sessualmente trasmissibili. Le ragazze, le adolescenti e le donne con disabilità chiedono l’accesso all’educazione affettiva e sessuale per vivere una vita sana. Esperti del settore, quali educatori dei servizi sociali pubblici locali, dovrebbero portare queste donne ad un livello di conoscenza tale che le renda consapevoli del funzionamento del proprio corpo (come si rimane incinta e come si evita di rimanerci, come avere una relazione sessuale più comunicativa e piacevole, come dire di no alle cose che non si vogliono fare, come evitare le malattie sessualmente trasmissibili, e così via)» (punto 8.4). Il Secondo Manifesto, ovviamente, dedica un paragrafo (il paragrafo 10) anche al diritto alla salute delle ragazze e delle donne con disabilità nel quale rileva che «l’Unione Europea ha riconosciuto che il genere è una determinante importante nell’accesso alla salute e provoca disuguaglianze nell’accesso all’assistenza e al trattamento sanitari tra uomini e donne. Nonostante ciò, fino ad oggi non c’è stata alcuna attenzione specifica ai gruppi esposti a maggiore rischio di esclusione come conseguenza dell’intersezione del genere con altri fattori discriminanti, come la disabilità» (punto 10.2). A tal proposito il Secondo Manifesto fornisce precise indicazioni operative, ne riportiamo alcune: «l’assistenza sanitaria di base, i servizi di salute sessuale e riproduttiva, i programmi e l’assistenza sanitaria inerenti alla violenza contro le donne, ed i servizi di salute mentale devono essere accessibili alle donne e alle ragazze con disabilità. Lettini per gli esami ginecologici dotati di un sistema di regolazione idraulico, dispositivi per la mammografia regolabili ad altezza di sedia a rotelle, sale d’attesa dotate di spazi adeguati a chi usa le stampelle o la sedia a rotelle, inclusi spazi riservati per vestirsi e svestirsi, personale sanitario disponibile ad aiutare le donne con mobilità ridotta non solo durante la visita medica, ma anche durante il soggiorno presso il centro sanitario, interpreti del linguaggio dei segni [i.e. lingua dei segni] ed interpreti/guide per le persone sordocieche indipendenti, servizi di supporto per la comunicazione orale (come sistemi audio a induzione magnetica, sistemi a modulazione di frequenza, pannelli di testo per trascrivere i messaggi audio, assistenti per la lettura labiale e la comunicazione aumentativa), fornire informazioni in formati accessibili, o prolungare il tempo ordinario delle visite, tra le altre cose, sono tutti accorgimenti fondamentali per garantire che le donne e le ragazze con disabilità ricevano un’adeguata assistenza sanitaria» (punto 10.7).

Lo scorso gennaio anche il Forum Italiano sulla Disabilità (FID) è tornato ad intervenire sulle discriminazioni che colpiscono le ragazze e le donne con disabilità: «l’invisibilità delle ragazze e delle donne con disabilità è la costante negativa che le caratterizza. […] Una invisibilità che è sia causa che effetto di discriminazione. Nella raccolta dei dati, nelle politiche di genere e di disabilità, nella struttura nazionale per lo sviluppo delle donne, nella partecipazione alla vita politica e pubblica, nel fenomeno della violenza e della violenza domestica, nell’educazione, nell’occupazione, nella salute, nello sport e nel tempo libero», in tutti questi ambiti le donne con disabilità sono discriminate, si legge nella Relazione inviata dal FID al Comitato CEDAW in vista del prossimo monitoraggio sull’attuazione della Convenzione sull’eliminazione di tutte le forme di discriminazione nei confronti delle donne in Italia. E più avanti: «le donne con disabilità affrontano diverse barriere che ostacolano la parità di accesso all’assistenza sanitaria e ai programmi di prevenzione delle malattie. Il 5,8% delle donne con disabilità ritiene di avere esigenze insoddisfatte di visite medica rispetto al 4,7% degli uomini con disabilità e all’1,9% della popolazione femminile generale [fonte: EIGE, Gender Equality Index, 2020, N.d.R.]. La riconversione dei servizi sanitari sul trattamento del COVID-19 ha ulteriormente penalizzato l’accesso delle donne con disabilità ai servizi di salute sessuale e riproduttiva e parto».

Nel 2013 il Gruppo donne UILDM (Unione Italiana Lotta alla Distrofia Muscolare) svolse un’indagine su “L’accessibilità dei servizi di ginecologia e ostetricia alle donne con disabilità”. Lo studio, l’unico di questo genere che ci risulti nel nostro Paese, ha riguardato 61 strutture ed enti sanitari pubblici, i quali hanno partecipato allo stesso compilando un questionario. Esso ha evidenziato molte lacune. Ne citiamo solo qualcuna: il 63.93 % delle sedi dei servizi o non è servita da mezzi di trasporto pubblici, o è servita da mezzi di trasporto pubblici inaccessibili alle persone con disabilità; il 42.62 % non dispone di un bagno accessibile alle persone con disabilità; solo il 38.33 % delle strutture che effettuano le visite ostetrico-ginecologiche dispone di uno spogliatoio sufficientemente ampio da consentire il movimento di una persona in sedia a rotelle e di un eventuale accompagnatore, e due di essi non garantiscono la riservatezza della paziente; il 71.67 % delle strutture che effettuano visite ostetrico-ginecologiche non dispongono di un lettino regolabile in altezza (ed il sollevatore è presente in una sola struttura); nel 20 % delle strutture in cui è effettuata la visita ostetrico-ginecologica sono presenti ostacoli lungo il percorso di accesso agli ambulatori interessati; solo il 6.67 % dei medici che svolgono le visite ostetrico-ginecologiche ha ricevuto una formazione sulle diverse disabilità (motoria, sensoriale ed intellettiva).

In questo quadro sconfortante abbiamo pensato fosse utile realizzare un repertorio dei servizi per la salute sessuale e riproduttiva preparati ad accogliere donne con disabilità. Trascriviamo di seguito quelli che abbiamo individuato. Non possiamo affermare che esso sia esaustivo – anche perché il monitoraggio è stato effettuato attraverso i siti delle strutture sanitarie, ed in essi è ancora abbastanza infrequente trovare informazioni che considerino in modo specifico l’accesso ai servizi da parte delle persone con disabilità –, tuttavia siamo disponibili ad aggiornalo ed integrarlo ogni volta che individueremo nuove esperienze virtuose.
Crediamo che conoscere le esperienze virtuose sia importante perché aiuta a creare la consapevolezza che l’accesso ai servizi per la salute sessuale e riproduttiva delle ragazze e delle donne con disabilità è un diritto. Conoscere le esperienze virtuose è importante anche perché può far venire la voglia di replicarle. Vi invitiamo pertanto a segnalarci le esperienze virtuose che ci fossero sfuggite a questo indirizzo e-mail info@informareunh.it, e, soprattutto, ad impegnarvi affinché che vengano replicate nei vostri contesti se abitate in un territorio scoperto da tali servizi. (Simona Lancioni)

 

CAMPANIA

Azienda Sanitaria Locale Napoli 1 Centro – Presidio Santissima Annunziata (Napoli) – U.O.C. Tutela Salute della Donna- Consultorio Familiare di II livello

(vedi anche: Un ambulatorio ginecologico per donne con disabilità… in linea col Secondo Manifesto, «Informare un’h», 10 luglio 2018)

Consultorio AIED – Associazione Italiana per l’Educazione Demografica (Napoli) – Progetto prevenzione e cura per le donne con disabilità

LAZIO

Consultorio Familiare Diocesano Al Quadraro (Roma) – Ambulatorio ginecologico per donne disabili

LOMBARDIA

Ospedale San Paolo (Milano) – Progetto DAMA (Disabled Advanced Medical Assistance)

PIEMONTE

Azienda Sanitaria Locale Città di Torino e Associazione VerbaAmbulatorio Il Fior di Loto

(vedi anche: L’Associazione Verba e quell’anima attenta al genere, «Informare un’h», 26 febbraio 2020)

Azienda Sanitaria Locale Città di TorinoCasa della Salute dei Bambini e dei Ragazzi: Percorso rosa (ambulatorio di ginecologia pediatrica anche per bambine/ragazze con disabilità fino ai 14 anni)

(vedi anche: Un servizio di ginecologia pediatrica anche per bambine/adolescenti con disabilità, «Informare un’h», 9 aprile 2021)

Ospedale Ostetrico Ginecologico Sant’Anna (Torino) – Ambulatorio di ginecologia e ostetricia per pazienti con disabilità

SICILIA

Azienda Ospedaliera Universitaria Policlinico Paolo Giaccone (Palermo) – Progetti ANCORA e MAIDA (Accoglienza Non Collaboranti: Orientamento alle Risorse Assistenziali – Miglioramento dell’Assistenza Integrata ai soggetti Disabili).

TOSCANA

Azienda Ospedaliero-Universitaria Careggi (Firenze) – Percorso Rosa Point

(vedi anche: Il percorso “Rosa Point” per la salute delle donne con disabilità motoria e sensoriale, «Informare un’h», 10 maggio 2017)

 

Vedi anche:
Sezione del centro Informare un’h dedicata al tema “Donne con disabilità: diritti sessuali e riproduttivi”.
Sezione del centro Informare un’h dedicata al tema “Donne con disabilità”.

 

Repertorio a cura di Simona Lancioni, responsabile del centro Informare un’h di Peccioli (Pisa)
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Data di creazione: 30 Marzo 2021

Ultimo aggiornamento il 10 Aprile 2021 da Simona