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Artemisia, reti antiviolenza accessibili alle donne con disabilità

Artemisia. Reti antiviolenza accessibili” è il nome di un innovativo progetto finalizzato a far mergere il fenomeno della violenza nei confronti delle donne e delle ragazze con disabilità e a costruire una rete di Servizi accessibili per la presa in carico di coloro che ne sono vittime.

“Autoritratto come allegoria della Pittura”, opera di Artemisia Gentileschi datata 1638-1639. L’artista si è ritratta nell’atto di dipingere, con un pennello in una mano e la tavolozza dei colori nell’altra.

Artemisia. Reti antiviolenza accessibili” è il nome di un innovativo progetto finalizzato a far mergere il fenomeno della violenza nei confronti delle donne e delle ragazze con disabilità e a costruire una rete di Servizi accessibili per la presa in carico di coloro che ne sono vittime. Intrapresa il 3 dicembre 2022 e tutt’ora in corso, l’iniziativa è promossa dalle Fondazioni Somaschi, ASPHI (Tecnologie Digitali per migliorare la Qualità di Vita delle Persone con Disabilità) e Centro per la famiglia card. Carlo Maria Martini, insieme alla LEDHA (Lega per i Diritti delle Persone con Disabilità) e al CEAS (Centro Ambrosiano di Solidarietà).

«Sette donne con disabilità su dieci hanno subito, almeno una volta nella vita, un episodio di violenza. Eppure, nonostante la gravità del fenomeno, i Centri Antiviolenza e le Case rifugio faticano ancora oggi a rispondere con competenza alla doppia discriminazione subita dalle donne  con disabilità coinvolte in situazioni di violenza», spiegano gli Enti proponenti che intendono intervenire proprio allo scopo di sanare questa situazione.

Anche la scelta del nome del progetto ha un significato. Infatti Artemisia Gentileschi (nata nel 1593, e deceduta tra il 1652 e il 1656) subì una violenza sessuale a cui reagì facendo processare e condannare il colpevole, e riuscì ad affermarsi come pittrice, cosa che per quei tempi – siamo all’inizio del XVII – era abbastanza difficile. Il riferimento ad Artemisia vuole dunque segnalare l’importanza che anche nel percorso di emersione dalla violenza di genere venga promossa e salvaguardata l’autodeterminazione della donna. «Un percorso che può essere particolarmente complesso per le donne e le ragazze con disabilità: non solo per una maggiore difficoltà nel chiedere aiuto – pensiamo, ad esempio, a chi ha una ridotta mobilità e non può raggiungere in autonomia un Servizio –, ma anche, a volte, per la mancanza di risorse o competenze specifiche all’interno dei Servizi dedicati», è scritto nella scheda del progetto. Ed il problema con le donne con disabilità è esattamente questo: che i Servizi di protezione delle vittime (Centri antiviolenza e Case rifugio) solitamente non hanno competenze in materia di disabilità, mentre chi opera nel settore della disabilità (servizi, centri, ma anche l’associazionismo) non ha competenze in materia di violenza, molestie o abusi. Mentre una risposta efficace e mirata per queste donne deve necessariamente integrare le competenze in materia di violenza e quelle in tema di disabilità.

Per questo motivo tra le azioni previste dal progetto vi è da un lato la formazione specifica e la sensibilizzazione rivolta agli operatori e alle operatrici dei Centri antiviolenza e delle Case rifugio affinché conoscano le diverse forme di disabilità, ma anche le risorse già presenti sul territorio che potrebbero fornire un supporto e accompagnare queste donne nei loro percorsi di autonomia. E dall’altro lato la formazione e la sensibilizzazione rivolta alle realtà e alle reti attive sul tema della disabilità (residenze, centri diurni, servizi sanitari dedicati) affinché imparino ad individuare e riconoscere gli elementi che potrebbero suggerire la presenza di dinamiche di violenza di genere.

Contemporaneamente sono previsti interventi per rendere più accessibili gli spazi operativi e le modalità di contatto dei Servizi dedicati alla violenza, mettendo in campo le competenze in materia di accessibilità e usabilità digitale della Fondazione ASPHI e quelle del CRABA (Centro Regionale per l’Accessibilità e il Benessere Ambientale) della LEDHA.

Un ulteriore sviluppo del progetto mira realizzare le condizioni affinché anche le donne con disabilità trovino accoglienza nelle Case rifugio. Sotto questo profilo è previsto che tre spazi abitativi siano resi accessibili a donne con diverse disabilità e siano attrezzati con tecnologie che ne garantiscano l’effettiva usabilità. Si tratta di immobili sequestrati alla criminalità organizzata, concessi in uso alla Fondazione Somaschi e al CEAS da alcuni Comuni dell’hinterland milanese. «Allo stato attuale, infatti, i luoghi preposti all’ospitalità delle vittime di violenza non sono adatti dal punto di vista strutturale ad accogliere donne e ragazze che hanno una disabilità motoria o sensoriale. Come pure le operatrici presenti non hanno una formazione specifica su questi temi e sulle strategie più efficaci per l’accompagnamento all’autonomia», si legge ancora nella scheda del progetto.

Altri due aspetti rilevanti riguardano il radicamento sul territorio: il progetto “Artemisia” è sostenuto dalla Fondazione di Comunità Milano, vi partecipano i Comuni capofila delle reti territoriali antiviolenza (Milano, Melzo, Rho, Rozzano, San Donato Milanese, Legnano e Cinisello Balsamo) e la Consulta disabili del Comune di Milano. E, ultimo, ma non certo per importanza, l’attività di progettazione si avvale delle competenze maturate dal Gruppo Donne LEDHA, perché l’autodeterminazione delle donne con disabilità passa anche dal loro coinvolgimento nella definizione delle politiche, nella programmazione, nella predisposizione dei sevizi a loro rivolti e nell’attività di monitoraggio. (Simona Lancioni)

 

Vedi anche:

Sezione del centro Informare un’h dedicata al tema “La violenza nei confronti delle donne con disabilità”.
Sezione del centro Informare un’h dedicata al tema “Donne con disabilità”.

 

Data di creazione: 15 novembre 2023

Ultimo aggiornamento il 16 Novembre 2023 da Simona