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Cosa hanno in comune le persone con disabilità e quelle della comunità LGBTQIA+?

Proprio oggi il “Disegno di Legge Zan”, che prevede delle specifiche aggravanti penali per la discriminazione e la violenza nei confronti delle donne, delle persone LGBTQIA+ e delle persone con disabilità, va in discussione in Senato e c’è ancora molta incertezza circa il fatto che vi siano i numeri per la sua approvazione. Una delle argomentazioni di coloro che lo osteggiano è che le motivazioni alla base delle discriminazioni e delle violenze a cui sono soggette le persone disabili e quelle LGBTQIA+ sono diverse, e dunque andrebbero trattate in modo disgiunto, ma in realtà questi due gruppi marginalizzati hanno più cose in comune di quante a prima vista si potrebbe ipotizzare.

 

Una gabbianella ha fatto il nido in prossimità di uno scambio dei binari. Il luogo in cui quei binari che in teoria non dovrebbero incontrarsi mai, in realtà si incrociano.

Proprio oggi il “Disegno di Legge Zan” (ovvero il Disegno di Legge S. 2005, avente ad oggetto “Misure di prevenzione e contrasto della discriminazione e della violenza per motivi fondati sul sesso, sul genere, sull’orientamento sessuale, sull’identità di genere e sulla disabilità”) va in discussione in Senato e c’è ancora molta incertezza circa il fatto che vi siano i numeri per la sua approvazione. Gran parte della discussione pubblica sul Disegno stesso si è incentrata sull’ omotransfobia che colpisce persone appartenenti alla comunità LGBTQIA+ (Lesbiche, Gay, Bisessuali, Transessuali, Queer, Intersessuali e Asessuali), e solo in ritardo, e comunque in proporzione minore, si è discusso pubblicamente di abilismo, la discriminazione che colpisce le persone con disabilità. Riguardo alla posizione di queste ultime rispetto al DDL Zan va precisato che esso è sostenuto da una parte importante dell’associazionismo delle persone con disabilità, basti citare solo a titolo esemplificativo l’adesione espressa dalla FISH, la Federazione Italiana per il Superamento dell’Handicap, in più occasioni (si vedano, a tal proposito, il primo comunicato di adesione al DDL Zan da parte della FISH, e la sottoscrizione sempre da parte della Federazione di un appello congiunto con l’ASGI (Associazione per gli Studi Giuridici sull’Immigrazione) e la Rete Lenford (Avvocatura per i diritti LGBTI+) volto a sollecitare l’approvazione del DDL in questione). Il Disegno di Legge è invece avversato dai partiti conservatori, da una parte minoritaria dei femminismi, da un’altra parte, anche questa minoritaria, della comunità LGBTQIA+ e dalla Chiesa cattolica. Coloro che avversano il Disegno di Legge difficilmente si esprimono in modo esplicito contro le tutele volte a contrastare la discriminazione e la violenza contro le persone con disabilità. Le argomentazioni più comuni consistono nel sostenere che le tutele per loro ci sono già, e citano la Legge 67/2006 (Misure per la tutela giudiziaria delle persone con disabilità vittime di discriminazioni) e l’art 36 della Legge 104/1992, che prevede un aggravio di pena da un terzo alla metà per alcuni reati compiuti ai danni delle persone con disabilità; tuttavia nessuna di queste norme prevede una sanzione penale specifica per i crimini d’odio, quelli commessi nei confronti di un essere umano in ragione di una sua caratteristica personale, che invece il DDL Zan vorrebbe introdurre. Le altre argomentazioni poste per giustificare l’avversione al testo sono che le motivazioni alla base delle discriminazioni e delle violenze a cui sono soggette le persone disabili e quelle LGBTQIA+ sono diverse, e dunque andrebbero trattate in modo disgiunto, che le persone con disabilità si starebbero facendo strumentalizzare dai promotori della cosiddetta “teoria del gender” (teoria che, a differenza degli studi di genere, in realtà non esiste, come spiegava in modo molto chiaro già diversi anni fa la bioeticista Chiara Lalli sulla rivista «Internazionale»: Tutti pazzi per il gender, 31 marzo 2015), che il “vero problema” delle persone con disabilità sarebbero la possibilità di accedere ai suicidi assistiti (con riferimento al testo unificato del Disegno di Legge denominato “Disposizioni in materia di morte volontaria medicalmente assistita” approvato nelle Commissioni Giustizia e Affari Sociali della Camera, se ne legga qui) e l’aborto terapeutico di cui alla Legge 194/1978 (argomentazioni sostenute nei giorni scorsi da Enrico Negrotti sul quotidiano di ispirazione cattolica «Avvenire», se ne legga qui). Va peraltro notato che la mancanza di un divieto esplicito all’aborto legale è stato il motivo addotto dallo Stato Vaticano per non ratificare la Convenzione ONU sui diritti delle persone con disabilità, sebbene l’aborto non sia un tema trattato nella Convenzione ONU (e neppure nel DDL Zan).

Ma le situazioni delle persone con disabilità e quelle delle persone LGBTQIA+ sono davvero così diverse? Anche se c’è chi ha interesse a far credere che le loro situazioni sono come “due binari” che non si incontrano mai, i realtà questi “due binari” si incontrano molto più spesso di quanto si possa ipotizzare. Innanzitutto stiamo parlando di due gruppi marginalizzati che sono stati entrambi vittime dell’Olocausto compiuto dal nazismo e dal fascismo durante la Seconda Guerra Mondiale, e già questo è un tratto comune che dovrebbe indurre questi gruppi a riconoscersi a sostenersi a vicenda. In secondo lungo questi due gruppi presentano delle aree di intersezione, infatti anche le persone con disabilità hanno un’identità sessuale e un orientamento sessuale, e non è affatto scontato che si identifichino col sesso attribuito alla nascita (cisgender), né che siano eterosessuali, le due caratteristiche socialmente accettate, e quando non si ritrovano in queste caratteristiche vi sono i requisiti per identificarsi con entrambi i gruppi in questione (ad esempio, da un recente studio realizzato da un gruppo australiano dell’Università di Deakin è emerso che tra le donne con autismo vi è una probabilità maggiore di identificare un’identità di genere transgender e un orientamento sessuale non eterosessuale rispetto alle altre donne). A ciò si aggiunga che anche le persone LGBTQIA+ possono divenire disabili nel corso della loro vita e ritrovarsi nell’area di intersezione dei due gruppi (interessante, a tal proposito, è lo studio condotto dalla sociologa Mara Pieri sulle esperienze di giovani adulti che si identificano come LGBTQ+ e che hanno una malattia cronica, se ne legga qui). Un altro aspetto in comune è costituito dal fatto che la disabilità, l’identità di genere, l’orientamento sessuale sono frutto di una libera scelta dell’individuo, essi infatti sono caratteristiche delle persone, e vanno riconosciute e rispettate in quanto tali.

In un recente incontro pubblico tenutosi a Milano proprio sul contrasto all’abilismo nel DDL Zan Sofia Righetti, filosofa e specializzata nei Disability studies, ha osservato che le persone disabili e le persone LGBTQIA+ subiscono discriminazioni molto simili, infatti entrambe sono esposte a quei processi di medicalizzazione nei quali la medicina decide cosa è patologico e cosa è normale, entrambe traggono vantaggio dal passing, secondo il quale tanto più passi per non disabile e cis-etero tanto più sei accettato e preso in considerazione dalla società, entrambe sono esposte all’invisibilizzazione.

Molto interessanti sono anche le osservazioni di Maria Chiara Paolini, formatrice e blogger sulla giustizia sociale applicata alla disabilità, pubblicate sul blog «Witty Wheels», in un articolo dal titolo “Persone disabili e persone trans: discriminazioni comuni” del 22 dicembre 2018. Secondo Paolini le persone disabili e le persone trans, pur vivendo percorsi diversi e discriminazioni diverse, hanno tuttavia molte esperienze simili, ed individua le seguenti: entrambe hanno difficoltà a trovare lavoro; entrambe subiscono sguardi e commenti molesti da parte di persone più o meno estranee quando sono per strada; entrambe sono rappresentate con una narrazione scorretta, «composta di informazioni errate, semplicemente non vere oppure distorte»; entrambe sono spesso ignorate anche negli ambienti “progressisti”, come il femminismo o gli stessi circoli di giustizia sociale; a entrambe viene attribuita una presunta sessualità deviante; ancora oggi nei media le persone disabili e le persone trans sono presentate come una vergogna e un peso per la famiglia, con una narrazione focalizzata sullo “sguardo dei genitori” e non su quello delle stesse persone disabili e delle persone trans.

Un altro elemento che può aiutare a comprendere che quando si parla di discriminazione e di violenza è necessario fare fronte comune è offerto dall’impostazione della Convenzione di Istanbul (la Convenzione del Consiglio d’Europa sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica, approvata dal Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa l’11 maggio 2011, e ratificata dall’Italia con la Legge 77/2013). Ebbene, il terzo comma dell’articolo 4 della Convenzione di Istanbul stabilisce che l’attuazione della stessa «deve essere garantita senza alcuna discriminazione fondata sul sesso, sul genere, sulla razza, sul colore, sulla lingua, sulla religione, sulle opinioni politiche o di qualsiasi altro tipo, sull’origine nazionale o sociale, sull’appartenenza a una minoranza nazionale, sul censo, sulla nascita, sull’orientamento sessuale, sull’identità di genere, sull’età, sulle condizioni di salute, sulla disabilità, sullo status matrimoniale, sullo status di migrante o di rifugiato o su qualunque altra condizione» (grassetti miei nella presente citazione ed in quelle successive). Come possiamo notare, nella Convenzione tutti i motivi di discriminazione sono posti sullo stesso piano e sono ugualmente vietati. Riguardo alle persone che incarnano su di sé delle caratteristiche che le espongono ad una particolare vulnerabilità – tra le quali possiamo annoverare, tra le altre, anche le persone con disabilità e le persone LGBTQIA+ vista l’ampia letteratura che documenta la loro maggiore esposizione alle discriminazioni e alla violenza – è previsto che gli Stati aderenti prendano in considerazione e soddisfino i loro bisogni specifici, e si concentrino sui diritti umani di tutte le vittime. Tale disposizione è espressamente indicata sia in materia di prevenzione (articolo 12, comma 3), che in materia di protezione e sostegno (articolo 13, comma 3). C’è poi l’articolo 46, in tema di circostanze aggravanti, che sancisce che nel determinare la pena per i reati stabiliti in conformità alla Convenzione, debba considerarsi circostanza aggravante, tra le altre, quella in cui «il reato è stato commesso contro una persona in circostanze di particolare vulnerabilità».

Per tutte queste ragioni tutti i gruppi marginalizzati dovrebbero riconoscersi e sostenersi a vicenda nel contrasto alla discriminazione e alla violenza. Non solo le minoranze, come le persone con disabilità e le persone LGBTQIA+, ma anche i gruppi maggioritari, come le donne, che pur essendo una maggioranza continuano a subire discriminazioni e violenze, e chiunque voglia una società giusta, equa e rispettosa dei diritti umani.

Se durante la Seconda Guerra Mondiale è stato possibile porre in atto l’Olocausto delle persone con disabilità, di quelle omosessuali e di quelle ebree, ciò è potuto accadere anche per il silenzio connivente di chi non era disabile, non era omosessuale e non era ebreo/a. Questo ci fa capire che le istanze di giustizia sociale ed il rispetto dei diritti umani non possono essere una responsabilità esclusiva dei gruppi bersaglio, che potrebbero non avere la forza di farsi valere. Vivere una società più giusta, più equa e libera da discriminazioni e violenze è interesse di tutti e tutte… non foss’altro perché prima o poi una qualche differenza che potrebbe trasformarci in bersaglio la incarniamo tutti e tutte.

Simona Lancioni
Responsabile del centro Informare un’h di Peccioli (Pisa)

 

Vedi anche:

Silvia Cutrera, Tra l’inizio e il fine vita scorre l’esistenza di ogni persona, «Superando.it», 13 luglio 2021.

Salvatore Nocera, «Chi sono io per giudicare?», «Informare un’h», 10 luglio 2021.

Simona Lancioni, Le persone con disabilità sanno riconoscere i propri interessi senza che glieli indichi un’autorità terza, «Informare un’h», 9 luglio 2021.

O è uguaglianza per tutti e tutte oppure non lo è, «Informare un’h», 9 luglio 2021.

Il contrasto all’abilismo nel DDL Zan, «Informare un’h», 28 giugno 2021.

Chroniqueers, storie di persone LGBTQ+ con malattia cronica, «Informare un’h», 26 maggio 2021.

La FISH sostiene il DDL Zan per sanzionare i crimini d’odio contro le persone con disabilità, «Informare un’h», 24 maggio 2021.

Simona Lancioni, Il Disegno di Legge Zan e le nostre responsabilità nelle vite degli altri, «Informare un’h», 2 maggio 2021.

Simona Lancioni, Le associazioni di persone con disabilità promuovano l’approvazione del DDL Zan, «Informare un’h», 21 aprile 2021.

Identità di genere, orientamento sessuale e sessualità nelle donne autistiche, «Informare un’h», 26 gennaio 2021.

Maria Chiara Paolini, Persone disabili e persone trans: discriminazioni comuni, «Witty Wheels», 22 dicembre 2018.

La multidiscriminazione delle donne con disabilità. Kit informativo rivolto a donne con disabilità, famiglie, associazioni, operatrici e operatori di settore, strumento prodotto dalla FISH – Federazione Italiana per il Superamento dell’Handicap, 2020. Disponibile anche in linguaggio facile da leggere e da capire.

I diritti escono dall’armadio. Kit informativo rivolto a persone con disabilità LGBTQ+, famiglie, associazioni, operatrici e operatori di settore, strumento prodotto dalla FISH – Federazione Italiana per il Superamento dell’Handicap, 2020.

Sezione del centro Informare un’h dedicata al tema “La violenza nei confronti delle donne con disabilità”.

Sezione del centro Informare un’h dedicata al tema “Donne con disabilità”.

 

Data di creazione: 13 Luglio 2021

Ultimo aggiornamento il 14 Luglio 2021 da Simona